* 9 giugno 2012, Sibialiria.org
Come in un ritornello ogni giorno da mesi la più grande agenzia stampa del mondo – la Reuters- ritualmente travisa le dichiarazioni dell’Onu, pure non certo favorevoli al regime siriano. Facendo di tutto per indurre l’opinione pubblica mondiale ad accettare o meglio a chiedere un intervento armato in Siria, continua a ripetere che “secondo l’Onu” le forze di Assad hanno ucciso diecimila persone, e che, “secondo il governo di Damasco”, sono stati uccisi anche 2.600 fra soldati e altre forze dell’ordine. In realtà la stessa Onu non si è mai espressa in questi termini, parlando sempre di “vittime della violenza in Siria”; dove con tutta evidenza gli scontri non sono fra un regime e manifestanti pacifici ma fra due (o più) parti armate, e a questi si aggiungono attentati e stragi.
Con questo depistamento quotidiano che vede Reuters in prima fila, di fronte a ogni nuovo massacro in Siria – l’ultimo nella località Al Kubeir, villaggio di Mazraf, regione di Hama, non è chiaro il numero dei morti ma fra di loro donne e bambini – nessuno si chiede a chi giovi, nessuno si chiede se non sia espressione di un tragico odio settario, o se ci siano squadroni della morte, e tutti continuano a dare per buona una sola delle due versioni: quella dell’opposizione armata e del Cns (Consiglio nazionale siriano) che continuano a chiedere interventi militari dall’esterno (questo ha ri-chiesto a Obama giorni fa un colonnello delle forze “ribelli” siriane, parlando da località non precisata all’Independent e ribadendo di aver rotto il cessate il fuoco. Del resto Qatar e Arabia Saudita, e gli occidentali, che sostengono l’opposizione anche armata, non hanno mai sostenuto davvero il piano di Annan).
I “ribelli” fanno davvero di tutto per attirare le bombe, o almeno ancora più aiuti. Il giornalista britannico Alex Thomson che è a capo dei corrispondenti di Channel 4 (non certo amica del regime: qualcuna ricorda il video fabbricato sui “medici siriani che torturano manifestanti feriti”?) sostiene che durante il suo viaggio in Siria i ribelli siriani lo hanno lasciato in una zona considerata terra di nessuno vicino al confine libanese, sperando che le forze del governo gli sparassero. Thomson ha scritto su un blog che una scorta ribelle ha guidato lui, il suo autista e il suo traduttore in un vicolo cieco in una “free-fire zone” vicino alla città di Qusair. Thomson sostiene che era “piuttosto chiaro che i ribelli ci avessero deliberatamente messo in posizione per essere bersagliati dall’esercito siriano”, aggiungendo che se lui e i suoi colleghi fossero stati colpiti tale episodio si sarebbe rivelato uno strumento di propaganda per i ribelli. In una e-mail, Thomson ha scritto che “in alcun modo” è possibile scambiare i fatti di oggi per un incidente (LaPresse News, riportato da http://economia.virgilio.it/notizie/economia/siria_giornalista_gb_ribelli_volevano_farci_sparare_da_esercito,35227622.html).
Forse occorrerebbero ascoltare i consigli di Cuba. L’isola ha una certa esperienza di lotta al terrorismo (del quale è stata vittima) e di opposizione alle guerre occidentali (nel 1990 fu l’unico paese, membro di turno del Consiglio di Sicurezza, a votare contro l’ultimatum all’Iraq). E il suo rappresentante permanente all’Onu, ambasciatore Rodolfo Reyes Rodriguez, il primo giugno durante la 19ma sessione speciale del Consiglio dei diritti umani (Cuba è membro di turno) ha parlato chiaro (www.granma.cu/italiano/esteri/4-junio-intervento.html ). Ecco le sue parole: “Cuba condivide la preoccupazione per la perdita di vite innocenti in qualsiasi parte del mondo. In accordo con la posizione cubana di condanna del terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, abbiamo condannato gli attentati terroristici perpetrati contro il popolo della Siria, che hanno provocato decine di morti e centinaia di feriti, ma sui quali questo Consiglio per i diritti umani non ha detto una sola parola. (…) Cuba esprime la sua solidarietà con le vittime e i loro familiari per i fatti di El-Houlah (l’ultimo massacro non era ancora avvenuto, ndr), ma il più elementare senso di giustizia deve impedire che si attribuiscano responsabilità a partire da semplici insinuazioni di parti interessate a promuovere la destabilizzazione e l’intervento militare straniero in Siria, per i quali i paesi della Nato dedicano notevoli risorse, finanziando e armando un’opposizione che soddisfi le loro ansie di cambio di regime in questo paese. (…) Una guerra civile in Siria o un intervento di forze straniere seminerebbero una maggior distruzione e moltiplicherebbero i morti, destabilizzerebbero tutta la regione e avrebbero gravi conseguenze per i popoli del Medio Oriente. (…) Sono allarmanti i richiami di coloro che vogliono l’uso della forza, la violenza e l’intervento militare straniero in Siria e sono necessari più dialogo e una maggior volontà di negoziato. (…) La condotta di alcuni membri della NATO nella regione dell’Africa del nord e del Medio Oriente, i loro ingiustificabili bombardamenti, i crimini contro i civili indifesi e il silenzio complice di fronte alle azioni d’Israele contro il popolo palestinese, sostengono le tesi che non è precisamente la promozione e la protezione dei diritti umani la legittima motivazione del dibattito che oggi ci occupa. (…) Per questo la nostra più ferma posizione è che l’investigazione che si deve realizzare sul massacro di El-Houlah dovrà essere seria, credibile, trasparente e senza pregiudizi e non dovrà essere inquinata da motivazioni politiche: questa sarà l’unica forma per conoscere la verità. (…) Il ruolo della comunità internazionale è appoggiare ogni sforzo che contribuisca alla salvaguardia della pace e della stabilità in Siria”.
Va in ben altra direzione il patto stretto fra opposizione cubana e quella siriana, con un seminario al Biltmore Hotel di Coral Gables dell’1 all’8 maggio, scrive Jean Guy Allard (riportato su http://www.peacelink.it/sociale/a/36322.html ): “La Cia ha messo in atto un dispositivo di sabotaggio contro il piano di Annan e qualsiasi altro tentativo di pace in Siria. (…) Ricorrendo alla comunità cubano-americana che controlla a Miami, e agli oppositori siriani che vivono nello stesso territorio, i servizi di intelligence degli Stati Uniti hanno tentato di collegare Cuba ai disordini in corso in Siria, come “rivela” un dispaccio da Miami dell’agenzia di stampa spagnola Efe sui “dissidenti siriani e cubani che stanno creando un fronte per combattere Castro e El-Assad”.
L’ultimo massacro a al Kubeir è un fatto. Ma dovrebbe essere considerato un fatto importante anche chi l’ha fatto, alla vigilia di una riunione all’Onu e a due settimane da quando un altro massacro è stato attribuito dal coro mondiale all’esercito e a forze paramilitari. Il poligono (di tiro) dei buoni ha già emesso il verdetto. Le tivù internazionali trasmettono video e interventi di “testimoni” del massacro e ne chiamano altri al telefono: questi accusano esercito e shabiha (gli ormai famosi “miliziani pro-Assad”) di bombardamenti ed esecuzioni. Un uomo curiosamente precisa che nel villaggio “non c’erano mai state manifestazioni contro il regime”. E proprio il regime ne avrebbe ordinato la morte…
Però la tivù privata siriana Addunia ha intervistato http://www.youtube.com/user/SyriaTruthNetworkEN?feature=watch il medico legale che esaminando i corpi degli uccisi ha stabilito il momento probabile del decesso: quattro o cinque ore prima che le forze armate arrivassero sul luogo e ingaggiassero scontri con i gruppi armati, dopo essere state chiamate dagli stessi abitanti. Alla tivù siriana alcuni degli abitanti della fattoria al Qubeyr e del villaggio di Maarzaaf hanno detto: “i terroristi armati hanno attaccato il villaggio alle dieci di mattina di mercoledi (6 giugno) sgozzando i bambini e le donne, il che ci ha spinti a fuggire al di fuori del villaggio”. Un’altra testimone ha affermato che gli uomini armati hanno terrorizzato gli abitanti del villaggio e li hanno scacciati dalle loro terre, distruggendo i loro raccolti agricoli, saccheggiandoli, e sgozzando i bambini e le donne.
Quanto al massacro di al Houla (due settimane fa), un giornalista russo della Anna News che si trovava nella zona durante il massacro ha raccontato quanto segue: “alle due di notte fra il 25 e il 26 maggio un grosso gruppo di armati catturano la cittadina di al Houla dopo averla attaccata da nordest. Vengono da Ar-Rastan, da Farlaha, da Akraba e da al Houla e sono aiutati da gangster locali. Una volta presi i checkpoint nel centro della cittadina, uccidono membri di famiglie non schierate con l’opposizione e fra queste molte del gruppo Al-Sayed, fra i quali 20 bambini; e la famiglia degli Abdul Razzak, usando coltelli e pistole. Poi l’opposizione accusa l’esercito. Durante l’attacco, gli armati perdono 25 uomini”.
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