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Egitto, colpo di stato strisciante

La Camera Bassa non esiste più, l’Alta Corte Costituzionale l’azzera contestando i seggi di tutti i deputati eletti come indipendenti nelle liste dei partiti di maggioranza: Libertà e Giustizia e Al-Nour. La Corte lo annuncia con cinque mesi di ritardo, le elezioni erano state ratificate a fine gennaio. Lo sbatte in faccia a due giorni dal ballottaggio presidenziale nel quale ammette definitivamente Ahmed Shafiq, squalificato ad aprile come Suleiman per incompatibilità con la norma che vieta ai politici implicati col regime del vecchio raìs di presentarsi alle elezioni (Disenfrachisement law). Per dare il via libera definitivo all’ultimo mubarakiano l’Alta Corte bolla come incostituzionale quella legge. Proprio così, senza pudore. Un comportamento che anche il moderato El Baradei, da tempo fuori dall’agone politico per ogni carica, giudica un colpo di stato strisciante. Davanti alla sede della Corte difesa dalla mattinata da blindati, cavalli di frisia, filo spinato e un numero sproporzionato di militari si è radunato una folla crescente e rabbiosa di giovani e militanti islamisti. Alcuni scontri si sono già verificati nonostante il rischio di manifestare sia enorme perché da mercoledì la Giunta Tantawi ha introdotto la possibilità di arresto immediato per chi può essere accusato di fomentare tafferugli. E nelle carceri ci sono tuttora centinaia di cittadini mai liberati (16.000 gli arresti nei sedici mesi di rivolta).

Se fosse introdotto anche l’uso delle armi contro gli assembramenti, l’Egitto sarebbe in una condizione di legge marziale. Le misure che paiono concertate da giudici e militari, e sembrano avere una regìa alle spalle, fanno precipitare una situazione che dopo gli accesissimi momenti dei mesi scorsi aveva comunque preso un cammino di confronto democratico. Soprattutto attraverso le consultazioni politiche positivamente valutate dagli stessi osservatori internazionali. Un ritorno al libero confronto dopo anni di brogli e pressioni elettorali con cui il Partito Nazionale Democratico mascherava la propria dittatura. L’uso di pesi e misure diversi verso i candidati delle presidenziali, che sta favorendo l’uomo su cui puntano i murabakiani della politica, dell’esercito e dell’economia, ha superato ogni lecito trucco. L’uno-due dell’ammissione definitiva di Shafiq fa il paio con la volontà di azzerare il Parlamento diventato islamista, ma attacca sia un’istituzione della Repubblica sia la libera espressione popolare che ha portato all’elezione di quei deputati. Un’operazione che ovunque fosse compiuta avrebbe sollevato non solo le proteste dei cittadini interessati ma della Comunità Internazionale. Domani c’è la preghiera del venerdì e richiami della Fratellanza o meno l’egiziano islamico sarà in piazza, a pregare, a manifestare, a tirare pietre e probabilmente a morire. Avrà a fianco quei laici democratici che Shafiq voleva mettergli contro per farsi eleggere nuovo raìs. Quel che attende l’Egitto lo vedremo nelle prossime ore.

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