Non mancano le tensioni in vista delle prime elezioni dopo la violenta estromissione di Gheddafi. A scatenare le proteste è ancora una volta la rivalità tra Tripolitania e Cirenaica, tra Tripoli e Bengasi, e la suddivisione dei seggi che verranno assegnati con le elezioni: 100 alla Tripolitania, 60 alla Cirenaica e 40 al Fezzan.
Il Consiglio Regionale della Cirenaica ha invitato a boicottare il voto di domani. La scorsa settimana il quartier generale della Commissione Elettorale di Bengasi è stato preso d’assalto e dato alle fiamme (vedi la foto) da circa 300 manifestanti, che chiedono una più equa distribuzione dei seggi dell’Assemblea Costituente. Nella notte di ieri, nella città di Ajdabiya, a pochi chilometri da Bengasi, un incendio doloso ha distrutto il materiale elettorale. A Sirte, la città natale di Gheddafi risulta bassissima la percentuale di registrazioni alle liste elettorali. Qua il boicottaggio è già reale.
Mustafa Abdul Jalil, presidente del Consiglio Nazionale di Transizione, ha ammesso in televisione che la distribuzione dei seggi non può considerarsi corretta, invitando però a non metterla in discussione per il bene del Paese e dell’unità nazionale. Impossibile, ha detto Jalil, modificare il numero dei seggi a poche ore dalle elezioni.
Nonostante nelle principali città libiche si respiri un clima di relativa calma, non cessano le violenze. Attacchi da parte di milizie armate proseguono, soprattutto per la mancanza di una forza di polizia strutturata e organizzata. La Libia non è pacificata e in molti hanno l’impressione di vivere in uno Stato senza legge.
A incrementare la tensione sono soprattutto le milizie che dopo la caduta del colonnello hanno rifiutato di abbandonare le armi, utilizzate oggi come strumento di pressione politica. Basta ricordare l’assedio all’aeroporto di Tripoli, il mese scorso, da parte di gruppi armati provenienti dal Sud del Paese che pretendevano la liberazione dal carcere di uno dei loro membri. Una serie di violenze che dal mese di febbraio ad oggi hanno provocato già cento vittime tra i civili.
Oltre ai candidanti indipendenti, tra i 142 partiti nati nell’ultimo anno, sono tre le maggiori fazioni nazionali che si scontreranno alle elezioni di domani. Da una parte le fazioni islamiste: i Fratelli Musulmani – rappresentati in Libia dal partito Giustizia e Sviluppo, guidato dall’ex prigioniero politico Mohammed Sawan – e il partito della Nazione di Abdel Hakim Belhaj, uno dei leader della rivolta contro il regime e secondo alcuni vicino al movimento di Al Qaeda.
Dall’altra parte, la fazione più vicina al mondo occidentale: l’Alleanza delle Forze Nazionali, guidata dall’ex premier Mahmoud Jibril, in carica lo scorso anno subito dopo la caduta di Gheddafi, e rappresentate di centinaia di organizzazioni della cosiddetta società civile e da ben 58 partiti.
Secondo osservatori internazionali e locali, entrambi i partiti islamisti possono ottenere un buon risultato, sia per la presenza strutturata nel Paese – da Tripoli a Bengasi – sia perché rappresentano per la popolazione libica il vero cambiamento. L’Alleanza delle Forze Nazionali è vista da molti, soprattutto in Cirenaica, come la stantia e pericolosa continuazione del vecchio regime, stessi volti e politiche simili.
Eppure lo spettro ideologico delle due correnti non appare poi così diverso: se Fratelli Musulmani e Partito della Nazione tentano di mostrare anche il loro volto nazionalista e liberale – tanti, ad esempio, i manifesti elettorali dove compaiono donne senza il velo -, l’Alleanza non dimentica la religione e fa frequenti riferimenti all’Islam come strumento legislativo.
A determinare il risultato del voto, sarà anche la particolare divisione tribale libica. Le dinamiche etniche e religiose del Paese non potranno che influenzare il voto, in particolare a livello locale: la struttura della società in comunità tribali, con strette connessioni spesso familiari, porterà molti elettori a dare il voto non tanto al partito quanto alla persona. Un voto individuale, più che ideologico.
(Fonte: Nena News)
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