* Nena News 20 luglio 2012
È sbagliato ed è un errore puntare il dito in questa fase dell’indagine contro paesi od organizzazioni», ha avvertito il capo della diplomazia bulgara, Nikolay Mladenov, replicando indirettamente alle parole di fuoco contro l’Iran pronunciate dal premier israeliano Netanyahu dopo l’attentato di martedì a Burgas, sul Mar Nero: cinque i turisti israeliani morti e altri 34 feriti. «Tutto ciò che sappiamo – ha aggiunto il ministro – sull’identità del colpevole (dell’azione kamikaze) è il suo aspetto esteriore e una copia della sua patente contraffatta del Michigan». Lo hanno ripreso le telecamere di sorveglianza dell’aeroporto. Si tratta di un uomo magro, di carnagione chiara, con lunghi capelli biondi, sui 35 anni, che va avanti e indietro nervosamente tenendo a spalla un grande zaino nero e una borsa da laptop. Un filmato ottenuto dall’americana Abc mostra sulla sua patente il nome Jacque Felipe Martin e un indirizzo della Louisiana. Ieri sera il Times of Israel, ha scritto che in realtà il kamikaze si chiama Mehdi Ghezali, è un cittadino svedese ed è stato rinchiuso a Guantanamo tra il 2002 e il 2004.
Un mujahed legato al qeadismo sunnita, nemico giurato dei musulmani sciiti. Elementi che escluderebbero, anche se non del tutto, una collaborazione tra gli sciiti Iran e Hezbollah e l’attentatore. Al governo di Israele però le indagini della polizia interessano fino a un certo punto. È l’aspetto politico che scatena l’adrenalina nel premier israeliano. Per Netanyahu, e buona parte dei media del suo paese, l’attacco all’aeroporto bulgaro è stato compiuto dalla milizia libanese Hezbollah, in collaborazione con l’Iran. «L’attacco in Bulgaria è stato compiuto da Hezbollah, longa manus di Tehran e principale agente terroristico dell’Iran», ha detto ieri il capo del governo in una conferenza stampa a Gerusalemme. Simili le dichiarazioni del ministro della difesa Barak, che ieri ha visitato le Alture siriane del Golan (che Israele occupa dal 1967) e lanciato pesanti avvertimento ai terroristi che hanno colpito in Bulgaria, all’Iran, a Hezbollah ma anche alla Siria. E l’establishment politico-militare israeliano ha fatto sapere agli alleati americani che Tel Aviv considererà un «casus belli» l’eventuale trasferimento in Libano degli arsenali chimici e delle batterie antiaeree siriane. Barack Obama ha dato ordine di tenere aperto il collegamento con gli apparati della difesa israeliana e ha lanciato a sua volta ammonimenti a Damasco, anche se diversi esperti di sicurezza americani hanno definito infondato questo allarme. Ben più concreto è l’allerta giunto da re Abdallah di Giordania che alla Cnn ha avvertito che, se cadrà Assad, le armi chimiche siriane più che in Libano finiranno nelle mani dei jihadisti che affollano i ranghi dei ribelli armati.
Ieri un quotidiano molto vicino al governo Netanyahu, Yisrael HaYoum, scriveva sul suo sito che, dopo l’attentato suicida di Burgas, Israele potrebbe essere «obbligato» a decidere se lanciare, nel giro di qualche giorno, una «rappresaglia» contro il Libano. I vertici militari israeliani ne hanno lungamente discusso ieri al quartier generale della difesa a Tel Aviv, prendendo in esame l’arrivo a Hezbollah dalla Siria di razzi terra-area SA17 e SA22, di missili Scud e anti-nave Yakhont anti-ship. Armi che renderebbero più indifeso il confine nord di un Israele intenzionato a colpire le centrali atomiche iraniane anche a costo di scatenare un nuovo conflitto regionale. L’ex generale Giora Eiland tuttavia esclude che Israele passerà subito dalle parole ai fatti. Anche perché l’attentato di mercoledì sembra rientrare in quella guerra non dichiarata in cui sono impegnati da lungo tempo Israele, Hezbollah e Iran.
In fondo a Tel Aviv sapevano che Hezbollah avrebbe vendicato l’assassinio del suo capo militare, Imad Mughniyeh, compiuto nel
La stampa israeliana ieri condannava l’indifferenza degli apparati politici verso le informazioni prodotte dal Mossad nei mesi scorsi su movimenti sospetti a Burgas, popolare località vacanziera della costa bulgara nonché importante base aerea della Nato, utilizzata dagli Stati Uniti anche per gli «extraordinary rendition», i voli segreti per trasferire presunti «terroristi» catturati in Afghanistan e altri paesi. Senza dimenticare i conflitti semicongelati nella regione – Abkazia, Ossezia del Sud (quindi Russia-Georgia), Nagorno Karabakh e Transdnistria – e il transito per quei territori dei rifornimenti energetici diretti in Europa.
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