Morsi lo annuncia in televisione e nei luoghi simbolo del Paese – Tahrir su tutti – gli islamisti festeggiano. Gli attivisti di altri partiti fanno i musi lunghi, soprattutto i mubarakiani che avevano sostenuto Shafiq, e c’è chi paventa addirittura un colpo di coda e di Stato dell’Esercito. Osservatori navigati sostengono che se non accadrà nulla nella prima giornata successiva alla decisione, ufficializzata ieri, il dado non sarà solo tratto ma anche accettato. Del resto ci si trova di fronte a una rimozione allineata a un graduale “pensionamento” di figure che hanno fatto la storia delle Forze Armate nazionali, nel caso di Tantawi risalendo non solo a Mubarak e Sadat ma addirittura al padre della patria Nasser. I due uomini di vertice assumono, naturalmente, un incarico: saranno consiglieri del Presidente. La mossa è in ogni caso significativa. Nella sua storia recente l’Egitto è per la prima volta in mano a un politico che non ha vestito la divisa, la triade presidenziale succeduta alla monarchia di Faruq proveniva da quei ranghi. L’uno-due di Mursi ha previsto anche il ripristino di quelle prerogative del ruolo di Capo dello Sato che erano state emendate alla vigilia del ballottaggio presidenziale per iniziativa del Consiglio Supremo delle Forze Armate, una componente forte che ora appare ridimensionata.
Sebbene Mursi abbia dichiarato che “la sua azione non è rivolta contro le persone” di fatto un repulisti c’è stato, reso possibile dalla pessima reputazione del Feldmaresciallo. Un personaggio odiato dalla piazza per tutte le repressioni dirette dai primi giorni della ribellione fino ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2011, con tanto di vittime anche illustri fra gli attivisti islamici. Uno per tutti: l’imam Emad Effat della moschea cairota di Al-Azhar colpito da una pallottola in pieno petto negli ultimi giorni dell’anno. Nell’investitura presidenziale, ratificata nel giugno scorso dopo la conta e riconta dei voti a favore del candidato della Fratellanza Musulmana, il benestare offerto dal supervisore americano ha previsto una fase distensiva e messo in conto prima o poi l’accantonamento di alti ranghi dell’Esercito compromessi col travagliato trapasso. Le recenti sanguinose vicende del Sinai, e il bisogno primario della sicurezza interna in funzione di quella mediorientale sui confini con la Striscia di Gaza e Israele, hanno sicuramente accelerato i tempi dell’operazione. E dopo la sostituzione del capo dell’Intelligence Mursi ha sancito il ricambio anche di un binomio potente come quello citato. Un’iniziativa certamente concordata all’estero con la Casa Bianca e nelle file della lobby col suo politico di fiducia: Al-Fattah al-Sisi, nuovo ministro della Difesa e responsabile dei Servizi.
Al-Sisi non è un civile, visto che nella vita ha fatto il militare di carriera fino a diventare generale ma, secondo quanto si vocifera, è vicinissimo alle posizioni della Confraternita. Così nella scalata al potere la Fratellanza si mostra rapida e scaltra quanto e più dei gulenisti turchi, che per conquistare l’Esercito e sostituirne i vertici hanno impiegato qualche annetto. Comunque avere Al-Sisi al fianco non garantisce a Mursi e al suo partito una totale subordinazione di strutture dove proprio gli avversari del conservatorismo laico hanno trovato consensi addirittura in chi doveva astenersi dal voto di giugno. E’ plausibile, invece, che si stia verificando un ulteriore passo di quel grande compromesso fra i settori moderati dei Fratelli Musulmani e la fazione politica conservatrice di cui le Forze Armate sono al tempo stesso espressione e riferimento. Eppure la real politik del “burocrate” Mursi sembra particolarmente efficace e fra invidie e paure i detrattori dicono di lui che dopo neppure due mesi di presidenza appaia già potente come Mubarak. Un bonario, sorridente “dittatore”.
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