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Assange. L’Ecuador concede l’asilo. Londra rifiuta il salvacondotto e minaccia l’irruzione nell’ambasciata

L’Ecuador ha concesso l’asilo politico a Julian Assange. Lo ha confermato il ministro degli Esteri di Quito in conferenza stampa. Il motivo è semplice: Assange rischia di diventare perseguitato politico se estradato dalla Gran Bretagna. Patino ha aggiunto che, se dovesse finire negli Usa, il capo di Wikileaks non riceverebbe un giusto processo e potrebbe addirittura essere messo a morte.

Sulla base di una serie di norme internazionali, la Gran Bretagna potrebbe «prendere le azioni necessarie per arrestare Julian Assange nell’ambasciata» dell’Ecuador a Londra: lo afferma il testo di una lettera britannica a Quito citato dall’agenzia ecuadoriana Andes.
Per Londra, la «strada» di tale azioni rimarrà aperta «nel caso in cui Voi non risolverete la questione della presenza del Sig. Assange» nell’ambasciata di Quito a Londra, che – precisa la lettera citata dall’agenzia – si augura «sinceramente di non dover arrivare a tale punto».
«Nel Regno Unito c’è una base legale» che potrebbe permettere tali azioni, aggiunge il testo, ricordando «la legge sulle sedi diplomatiche e consolari del 1987». Pur comprendendo «la forte pressione politica in Ecuador» per il caso Assange, il testo sottolinea che la «situazione dovrà essere risolta qui, nel Regno Unito, in linea con i nostri obblighi legali», ricordando inoltre che nel caso di un via libera di Quito all’asilo per Assange, Londra «respingera» l’eventuale richiesta di un salvacondotto. Minacciata anche la revoca dell’immunità diplomatica all’ambasciatore del paese andino a Londra.
La minaccia di irrompere in un’ambasciata straniera legalmente ospitata sul proprio territorio è senza precedenti e potrebbe aprire una fase di rottura generalizzata degli obblighi e delle coperture diplomatiche a livello globale. Nemmeno nei momenti di maggiore tensione nel periodo della “guerra fredda” si era arrivati a minacce simili. L’unico caso di violazione dell’immuninità delle sedi diplomatiche che si ricordi è quello dell’occupazione dell’ambasciata Usa a Teheran dopo la caduta dello scià e il trionfo di Komheini. Fare il bis, per gli inglesi, non sarebbe davvero un fiore all’occhiello.
Ma è evidente che Londra ritiene di non avere obblighi particolari nei confronti di un piccolo paese sudamericano oltretutto schierato tra i progressisti che si sono emancipati dalla sudditanza verso le multinazionali. Ed è altrettanto evidente che l’arresto di Assange è un risultato simbolico che interessa soprattutto gli Stati Uniti, la cui “disinvoltura” in politica estera è emersa con grande rilievo dalla pubblicazione su Wikileaks dei cablo scambiati tra le ambasciate Usa e il Dipartimento di stato di Washington.
Comunque lo si valuti, dunque, il passo formale della Gran Bretagna equivale a una pre-dichiarazione di guerra, visto che rompe con la tradizione consolidata della diplomazia internazionale.

L’Ecuador ha dal canto suo annunciato che entro qualche ora farà sapere se darà l’asilo politico richiesto da Assange. In una conferenza stampa a Quito, il ministro degli Esteri Ricardo Patino ha rinviato ad oggi alle 7 ora locale (le 13 in Italia) l’annuncio da parte del governo socialista di Rafael Correa sull’eventuale via libera all’asilo, fatto che viene dato per scontato, e non solo nella capitale ecuadoriana.
Nell’incontro con la stampa, Patino ha attaccato su più fronti, e con durezza, la Gran Bretagna. Il ministro ha riferito di una «minaccia» sia «a voce sia scritta» che «la nostra ambasciata a Londra possa essere presa d’assalto, nel caso in cui Assange non venga consegnato». «L’ingresso non autorizzato di qualsiasi autorità britannica nell’ambasciata – ha ricordato il ministro – sarà considerata una violazione» del diritto internazionale e delle norme Onu.
Patino ha inoltre definito tale minaccia un fatto «improprio per un paese democratico, civile e rispettoso del diritto», ricordando che l’Ecuador «non è una colonia» del Regno Unito e che il suo paese è pronto a convocare riunioni d’urgenza dell’ Unasur (blocco che raggruppa 12 paesi del Sudamerica) e dell’Organizzazione degli stati americani (Osa).

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