Esattamente una settimana fa
Sono in molti, nei partiti, nelle organizzazioni sindacali e nella stampa progressista a chiedersi cosa sia il Sudafrica post-apartheid e le critiche alla corruzione e al nepotismo che caratterizzano l’African National Congress e alcune sue correnti in particolare si fanno sempre più dure.
Oggi intanto il paese si ferma per rendere omaggio alle vittime della miniera di Marikana. In diverse città del Paese si stanno svolgendo cerimonie commemorative in memoria delle 44 persone rimaste uccise, il 16 agosto scorso, negli scontri di Marikana, 34 delle quali falciate dal fuoco della polizia (gli altri invece sono rimasti uccisi negli scontri tra due diverse fazioni sindacali). Non sono previste esequie collettive, poiché i corpi dei minatori uccisi sono stati riconsegnati alle rispettive famiglie, spesso residenti lontano dal sito dove sorge la miniera di platino, che si trova a un’ora e mezza di auto a ovest di Johannesburg, la capitale economica del Sudafrica. Molte cerimonie sono previste a Mthatha, la città più vicina al villaggio di Nelson Mandela, nel sud rurale del Paese, da dove proveniva la maggior parte dei minatori, e a Città del Capo. In tutto il Sudafrica le bandiere sono a mezz’asta da lunedì, inizio della settimana di lutto nazionale decretata dal presidente Jacob Zuma, il cui governo viene però accusato di non aver agito per evitare il dramma. E’ vero, riconoscono alcuni deputati dell’opposizione, che alcuni lavoratori erano minacciosi e armati di machete, ma è anche vero che
Collins Chabane, il capo di gabinetto del presidente Jacob Zuma, che ieri ha visitato la miniera esprimendo parole di solidarietà ai minatori e promettendo un’indagine accurata su quanto accaduto, è stato contestato da alcuni lavoratori.
Dopo la strage, Zuma ha anticipato il ritorno da un summit regionale in Mozambico e si è recato nell’area di Marikana, ma è andato a trovare solo i minatori feriti, provocando la rabbia dei lavoratori che hanno continuato a scioperare. Il presidente ha poi parlato con questi solo una settimana dopo. I minatori in protesta hanno anche chiesto al capo di Stato di far rilasciare temporaneamente i 256 colleghi arrestati durante le proteste, in modo da farli partecipare alle commemorazioni delle vittime in programma oggi.
Alla miniera di platino di Marikana, di proprietà della società britannica Lomnin, le rivalità tra diversi gruppi sindacali, che avanzavano rivendicazioni salariali, avevano portato a pesanti scontri tra i minatori, costati la vita a 8 di loro e a due agenti di polizia. Il braccio di ferro è proseguito con le forze dell’ordine che il 16 agosto hanno aperto il fuoco con i mitra sugli scioperanti uccidendo 34 di loro e ferendone altri 78. Sei giorni dopo la sparatoria, solo il 33% dei minatori è tornato al lavoro e la direzione della multinazionale si è dovuta rimangiare l’ultimatum emesso dall’azienda in base al quale chi non avesse rinunciato alla protesta sarebbe stato licenziato. Non solo lo sciopero alla Lonmin non si è interrotto, ma la protesta si è estesa ad altre due miniere di platino del paese – tra le quali la vicina Royal Bafokeng – dove gli operai hanno incrociato le braccia per chiedere adeguamenti salariali. I minatori in sciopero denunciano salari mensili tra i 4mila e i 5mila rand (circa 486-608 dollari) e chiedono aumenti fino a 12.500 rand. La compagnia mineraria replica sostenendo che le paghe della maggior parte dei minatori, considerando i bonus, arrivano fino ai 10.500 rand. Richieste simili quelle rivolte dai lavoratori della miniera di Thembelani alla AngloAmerican Platinum Ltd.
Gli scioperi hanno provocato una impennata del prezzo del platino, che in poche settimane è cresciuto dai 1400 ai 1500 dollari l’oncia.
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