Si è aperto nei giorni scorsi di fronte a un tribunale della provincia di Buenos Aires un nuovo processo per crimini di lesa umanità – un reato simile a quello di ‘crimini contro l’umanità – contro l’ultimo dittatore argentino, Reynaldo Bignone, e altri ex gerarchi. Si tratta del sesto procedimento giudiziario che ha come oggetto le violenze e le torture avvenute all’interno della sede della guarnigione militare di Campo de Mayo, uno dei principali centri di detenzione clandestini del regime militare e fascista che dominò l’Argentina tra il 1976 e il 1983.
Bignone, che ora ha 84 anni, è già stato condannato per quattro diverse imputazioni di violazione dei diritti umani. Sul gerarca, che negoziò la transizione verso la “democrazia” ordinando ai suoi uomini la distruzione di tutta la documentazione su arresti, torture e uccisioni, pesano due condanne a 25 anni per crimini commessi a Campo de Mayo e una a 15 anni per le violenze commesse in un altro centro di detenzione realizzato all’interno dell’ospedale pubblico Posadas, alla periferia di Buenos Aires. A luglio gli è stata comminata anche un’altra condanna a 15 anni per “furto sistematico” di neonati in un processo storico in cui l’ex dittatore Jorge Rafael Videla (1976-1981) si è visto comminare 50 anni di reclusione.
Ora deve rispondere insieme ad altri imputati della morte di 20 persone, tra cui sette donne ‘desaparecidas’ che partorirono all’interno della base-lager, i cui figli vennero affidati a famiglie di militari fedeli al regime.
Gli altri imputati sono Luis Sadí Pepa, Julio San Román, Hugo Castagno Monge, Carlos Eduardo Somoza, e l’ex ufficiale dell’intelligence militare Carlos del Señor Garzón che, con sua moglie María Francisca Morillo, adottò illegalmente Laura Catalina de Sanctis Ovando, la cui vera identità è stata scoperta solo recentemente, nel 2008.
Secondo gli inquirenti, per il lager di Campo de Mayo passarono almeno 5000 oppositori: nella base fu allestito anche un centro di maternità ma non esiste un bilancio certo di quanti bambini vennero alla luce durante gli anni della dittatura all’interno della struttura.
Se l’Argentina processa e condanna con sempre maggiore accuratezza i gerarchi della dittatura militare, il Cile li tratta con i guanti di velluto.
“Moltissime persone” condannate in Cile per sparizioni forzate o esecuzioni arbitrarie durante il regime fascista di Augusto Pinochet (1973-1990) “non compiono una pena effettiva, non vanno in carcere”: a denunciarlo è stato nei giorni scorsi il Gruppo di lavoro dell’Onu sulle sparizioni forzate o involontarie al termine di una missione di dieci giorni nel paese scosso dalle manifestazioni degli studenti.
Secondo Ariel Dulitzky, uno dei componenti della missione dell’Onu, “restano ancora molte sfide da superare” principalmente nel campo della giustizia: il governo dell’imprenditore di destra Sebastián Piñera è stato esortato ad “assumere una politica globale e coerente per affrontare questo tipo di violazioni” e a creare un’istituzione che articoli il lavoro. Dulitzky ha deplorato tra l’altro la persistente reticenza delle forze armate a fornire tutte le informazioni che potrebbero aiutare gli inquirenti.
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