* Forum Palestina
Da una parte sembrò aprirsi la speranza di un processo che avesse come esito la costituzione di uno Stato palestinese indipendente, dall’altra le enormi rinunce che gli accordi comportavano da parte palestinese furono giudicate un passo indietro e un tradimento delle aspettative generate dall’Intifada e dal protagonismo palestinese degli ultimi anni, a causa dello svuotamento del ruolo dell’OLP.
Il bilancio che se ne può fare oggi è quello di un totale fallimento degli auspici. In questi 19 anni, quello che si è consumato è stato un processo ben diverso, che non ha creato in realtà nessun presupposto per una pace equa e duratura, e che oggi vede una situazione in cui Israele, che di fatto è sempre più padrona del campo, ribadisce arrogantemente ogni giorno e sotto ogni punto di vista la sua ingiusta supremazia.
La soluzione dei due stati, sostenuta per motivi di comodo da USA e UE, è stata cancellata dalla situazione sul campo, che oggi permetterebbe a malapena la creazione di un mini-Stato palestinese privo di autonomia sostanziale, assoggettato militarmente, dipendente economicamente, e diviso in bantustan senza contiguità territoriale (1). Lo scenario futuro prossimo e probabile, che è anche quello più gradito a Israele, è la prosecuzione della situazione attuale, cioè la quotidiana strisciante annessione di pezzi dei Territori, il completamento dell’ebraicizzazione di Israele compresa Gerusalemme Est, lo strangolamento della Striscia di Gaza, nel complice silenzio internazionale. Infatti lo Stato sionista ha oggi carta bianca su tutto, e non ha nessuna intenzione di cedere su nessuno dei punti che, al contrario, sono per i Palestinesi irrinunciabili ai fini della costituzione di uno Stato degno di questo nome (Gerusalemme, diritto al ritorno dei profughi, ritiro delle colonie, ecc. ecc.). A completare il quadro negativo, si aggiungono le oggettive difficoltà della leadership palestinese, le spinte alla frantumazione, la dipendenza economica dall’esterno dei Palestinesi dei Territori Occupati, l’apartheid praticato nello Stato sionista ai danni della minoranza palestinese interna.
Anche lo scenario internazionale e regionale è profondamente mutato.
Ad un anno dal loro inizio, le rivolte arabe, frettolosamente definite rivoluzioni, stanno lasciando il campo al protagonismo dell’Islam politico legato a doppio filo alle petromonarchie. Il pericolo è che, insieme alle aspirazioni di giustizia e di progresso dei proletari tunisini ed egiziani, anche la Palestina paghi un prezzo molto alto. La normalizzazione neocoloniale del Medio Oriente e del Mediterrraneo è infatti un punto su cui coincidono gli interessi della Lega Araba, di Israele e dell’imperialismo europeo e statunitense. Non è una novità: sono stati che sono nati e si sostengono grazie alla mutua cooperazione con le potenze imperialiste. Una cooperazione che nel tempo ha visto momenti di conflitto ed interessi divergenti, ma che è stata riconfermata con l’aggressione alla Libia e con l’impegno comune nella destabilizzazione della Siria. La resistenza palestinese è sotto attacco, come lo sono la resistenza libanese ed i paesi che come la Siria e l’Iran rappresentano un’anomalia insopportabile e contrapposta al disegno del Grande Medio Oriente.
La situazione sul campo ci dice dunque che, a 19 anni da Oslo, la questione palestinese tocca il punto più critico, messa all’angolo dalle trattative “con la pistola alla tempia”; la sola prospettiva è al di fuori dell’ordine imposto dall’imperialismo e dall’Islam politico reazionario, legato ai Fratelli Musulmani e ai loro finanziatori nel Qatar e a Riad.
(1) La proposta dello Stato unico binazionale è attualmente sostenuta da intellettuali e associazioni militanti soprattutto all’estero.
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