Nelle ultime settimane si è registrata una certa attenzione mediatica sulla situazione politica in Catalogna, e più in generale sull’inasprirsi dei rapporti tra governo centrale e nazioni periferiche nello stato spagnolo nel contesto di generale crisi economica, sociale e politica che sta interessando il paese iberico.
La moltitudinaria manifestazione per l’indipendenza che ha riempito le strade di Barcellona lo scorso 11 settembre, e la recente convocazione con toni “sovranisti” delle elezioni regionali autonome anticipate per il prossimo 25 novembre da parte del presidente della Generalitat catalana Artur Mas, hanno posto l’annosa questione della possibile indipendenza catalana sotto i riflettori dell’attenzione mediatica.
In molti casi, soprattutto sulla stampa italiana, emerge un’immagine distorta, o almeno parziale e incompleta della complessa realtà della mobilitazione indipendentista catalana. Spesso infatti si concentra l’attenzione sul protagonismo del presidente Mas e della federazione di partiti catalanisti di centro-destra Convergència i Unió (CiU), sottovalutando il peso e il ruolo delle componenti progressiste e di sinistra nell’indipendentismo catalano. Questo errore di prospettiva fa spesso considerare le rivendicazioni catalaniste di maggiore autogoverno come fenomeno tendenzialmente di destra, causato dall’egoismo dei catalani contro i “terroni” spagnoli, con forzati parallelismi con il fenomeno leghista.
L’attuale esplosione indipendentista in Catalogna è in realtà un fenomeno ben più complesso, risultato di una lunga fase di mobilitazione che si è avviata agli inizi degli anni 2000. Una mobilitazione inizialmente animata dalle componenti dell’indipendentismo “storico”, come Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), partito repubblicano e libertario nato negli anni ’30, e il Partito Socialista di Liberazione Nazionale (PSAN) formatosi negli anni ’60, a cui nel corso del tempo si sono aggregate nuove piattaforme e organizzazioni di diversa provenienza ideologica che si riconoscono nel comune obiettivo della rivendicazione di uno stato catalano indipendente.
La storia del catalanismo politico ha inizio nella seconda metà del XIX secolo. Se ci soffermiamo sulla fase contemporanea iniziata dopo la morte del dittatore Franco, l’indipendentismo è stato per diversi anni una componente minoritaria e politicamente ininfluente. Con la creazione delle nuove istituzioni regionali autonome in seguito all’approvazione della nuova costituzione spagnola del 1978, si è affermato il nazionalismo moderato di CiU guidato dalla figura carismatica di Jordi Pujol. Dal 1980, per un ventennio Pujol è stato il presidente della Generalitat, e CiU, da solo o in coalizione – anche grazie alla costruzione di un sistema clientelare – l’asse portante del sistema politico catalano, tanto da essere definito il “pal del paller”, l’asse del pagliaio. Il “pujolismo” è stato una sintesi tra il nazionalismo moderato autonomista e la concezione democristiana e conservatrice in materia sociale, tenuti insieme dal forte carisma del leader. CiU può essere considerato il principale rappresentante degli interesse della piccola e media borghesia catalana.
Il sistema di potere costruito da Pujol inizia ad entrare in crisi verso il 2000. I fattori di questo declino sono diversi. In primo luogo l’età avanzata del “President” che imponeva un cambiamento della leadership; in secondo luogo, il conseguimento della maggioranza assoluta nelle elezioni generali spagnole del Partito Popolare di José María Aznar ha fatto venir meno la possibilità dei nazionalisti autonomisti baschi e catalani di negoziare con i governi centrali quote di potere in cambio di sostegno parlamentare. Infine, a livello internazionale, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000 nell’Unione Europea ha iniziato a prevalere l’impostazione “intergovernativa” in cui sono centrali gli stati membri, con una forte riduzione degli spazi di manovra per i rappresentanti dei governi regionali e locali che erano stati abilmente utilizzati da Pujol per tessere la sua rete di contatti e alleanze internazionali.
Nelle elezioni regionali catalane del 2000 Pujol ha lasciato il posto ad Artur Mas come candidato, risultato poi vincente, alla guida della Generalitat. Ma la crisi interna del nazionalismo “convergent” era ormai matura, tanto da influenzare negativamente l’azione del governo regionale, e Mas ha dovuto convocare le elezioni anticipate. Le elezioni catalane del 2003 rappresentano il punto di svolta, simbolico e sostanziale, nell’evoluzione del sistema politico catalano, e l’inizio del nuovo ciclo di mobilitazioni indipendentiste. Per la prima volta dalla creazione delle istituzioni autonome,
La frustrazione delle aspettative riposte nei governi del tripartito ha riguardato anche l’ambito sociale ed economico, dato che le promesse di realizzazione di politiche sociali a sostegno dei settori sociali più deboli, in rottura con le politiche neoliberiste degli anni del pujolismo, non sono state mantenute.
Questo quadro di parallela frustrazione delle aspirazioni nazionali e di disagio sociale, aggravato dalla crisi finanziaria e sociale che sta colpendo duramente
Il carattere sostanzialmente di sinistra dell’indipendentismo catalano viene confermato anche dalle inchieste sugli atteggiamenti politici realizzate periodicamente dagli istituti di ricerca sociale, in cui risulta che quasi il 60% delle persone che si definiscono di sinistra (più o meno radicale) sostengono l’indipendenza, mentre la percentuale varia dal 40% al 10% più si va a destra dello spettro politico.
Fonte: blog del politologo Ivan Serrano Balaguer www.aubachs.blogspot.com
In questi ultimi mesi agli occhi di analisti e osservatori è apparso chiaro che il tradizionale appuntamento dell’11 settembre quest’anno avrebbe assunto un forte carattere politico di rivendicazione indipendentista e di critica alle politiche di austerity di Madrid, ma anche del governo regionale. I nazionalisti di CiU hanno cercato di edulcorare la montante ondata indipendentista. Alla vigilia della manifestazione Artur Mas ha sostenuto che la marcia sarebbe stata in sostegno del suo negoziato per il nuovo patto fiscale con il governo centrale. Ma la piazza ha nettamente rifiutato questo messaggio con chiari slogan contro il patto fiscale ma anche contro i tagli realizzati dalla Generalitat. Pur avendo partecipato alla marcia Pujol ha poi sostenuto che l’indipendenza è impossibile da ottenere e che l’obiettivo principale è rappresentato dal patto fiscale e dalla revisione dello statuto di autonomia.
Ma questi tentativi dei leader di CiU di fare da pompieri dell’indipendentismo, canalizzando a proprio vantaggio la mobilitazione, non ha avuto molto successo. Sostenute dalla piazza le diverse formazioni indipendentiste all’interno del parlamento di Barcellona hanno promosso la convocazione di un referendum sull’autodeterminazione, e diversi municipi si stanno dichiarando “liberi territori catalani”. In questo quadro Mas ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, convocando le elezioni anticipate, cercando così di utilizzare la minaccia indipendentista come carta da giocare nel negoziato con Madrid, riproponendo di fatto la tradizionale strategia convergente basata sull’indipendentismo retorico e l’autonomismo di fatto. Se la tigre del movimento indipendentista si lascerà cavalcare da Mas e dal nazionalismo moderato è tutto da vedere.
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