Dopo un giorno e mezzo di altissima tensione, l’escalation verso un possibile conflitto tra Turchia e Siria sembra essersi allentata. La Siria si è scusata per il colpo di mortaio che mercoledi ha ucciso 5 persone nella cittadina turca di Akcakale, e Ankara ha sospeso i bombardamenti sul territorio siriano, nei quali hanno perso la vita alcuni soldati siriani. Ieri il Parlamento turco aveva dato via libera per effettuare operazioni militari contro la Siria per un anno, come richiesto dal premier, qualora il governodi Ankara lo riterga necessario. Ma il vicepremier Besir Atalay aveva gettato acqua sul fuoco affermando che la Turchia non vuole la guerra con Damasco.
In Turchia però l’opinione pubblica appare fortemente ostile a una possibile guerra con la Siria. Ci sono state manifestazioni a Ankara e Istanbul, e l’hashtag #savassahayir (noallaguerra, ndr) è rapidamente diventato ieri il tema più gettonato su Twitter in turco. E i sondaggi mostrano che la maggioranza della popolazione è contro un conflitto con la Siria.
La Turchia ha incassato già ieri notte l’appoggio della Nato e dell’Ue (in prima fila l’Italia con il ministro degli esteri Terzi che ormai è un ossesso dell’intervento militare). Ma, fortunatamente, nella comunità internazionale si sono registrati appelli alla moderazione e all’abbassamento della tensione, nel timore di una guerra aperta dalle conseguenze potenzialmente devastanti per tutto il Medio Oriente. Fra Turchia e Siria la situazione ora sembra in sospeso fra escalation e relativa distensione. Secondo la stampa turca Erdogan da tempo pensa ad un intervento armato che imponga una “No Fly Zone” su parte della Siria e ad una zona cuscinetto lungo la frontiera come chiedono i gruppi armati anti-Assad.
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Sulla tensione e i pericoli di guerra in Siria, segnaliamo una interessante analisi di Alberto Negri:
Al via un conflitto a bassa intensità
Alberto Negri
Da Il Sole 24 Ore, 5 ottobre
Dall’inizio della rivolta contro Assad nella primavera del 2011 si sapeva che la Turchia, membro di primo piano della Nato, poteva essere coinvolta in un conflitto con una proiezione che oltre alla Siria interessa direttamente l’Iraq e l’Iran, due vicini con i quali Ankara ha relazioni politiche ed economiche rilevanti ma anche problemi cronici soprattutto per la storica rivalità tra Ankara e Teheran, riflesso di un’altra contrapposizione secolare tra la sfera di influenza del mondo sunnita, turco e arabo, e quello sciita.
Già da tempo quella siriana è una pericolosa guerra per procura tra potenze regionali concorrenti. Le tensioni, da decenni, riguardano la guerriglia curda del Pkk che ha i suoi santuari nel Kurdistan iracheno, conta appoggi tra i curdi siriani e viene manovrata, quando fa comodo, anche da Teheran, alleato di Damasco e del Governo sciita di Baghdad. Per altro i rapporti nel triangolo Ankara-Baghdad-Teheran sono fondamentali pure per l’Europa perché secondo il piano energetico dell’Unione dalla Turchia passano e passeranno le pipeline più importanti per le importazioni di gas e petrolio dall’Oriente.
Niente di quanto avviene da queste parti quindi ci può essere indifferente. Lungo i quasi mille chilometri di confine tra Siria e Turchia si gioca una partita strategica per gli equilibri del Levante del Medio Oriente: il conflitto tra il regime di Assad e la guerriglia è alimentato dal mondo arabo sunnita e dalle monarchie del Golfo che vogliono controbilanciare la potenza dell’Iran e prendersi una rivincita sull’ascesa degli sciiti in Iraq dopo la caduta di Saddam. Un obiettivo non semplice ma in linea con l’agenda occidentale e anche israeliana.
La primavera araba ha innescato la miccia di tensioni che esistevano da tempo e non erano neppure troppo latenti. Il 23 novembre 2011 “Zaman”, quotidiano vicino alle posizioni dell’Akp del premier Erdogan, scriveva che Ankara rischiava di essere trascinata nella guerra civile ospitando nei campi profughi il Free Syrian Army. I vertici militari turchi hanno ripetutamente avanzato l’ipotesi di penetrare in Siria per insediare una “zona cuscinetto” e la Turchia, insieme alle petro-monarchie, ha chiesto più volte di dichiarare una “no-fly zone”.
Con l’approvazione del Parlamento di Ankara a intervenire oltre confine inizia un altro conflitto a bassa intensità, anche se forse non con effetti immediati: Erdogan, capo di un governo islamico moderato, ci penserà due volte prima di infilarsi in un’escalation, mostra i muscoli per ragioni di prestigio internazionale e proteggere i confini nazionali ma deve anche fronteggiare l’ostilità dell’opinione pubblica che secondo i sondaggi non vuole una guerra contro Damasco.
Il problema è quale sarà l’atteggiamento futuro della Nato se ci saranno altri scontri tra turchi e siriani, dando per scontato che al Consiglio di sicurezza ogni votazione contro il regime di Damasco viene regolarmente bloccata dal veto della Russia e dalla Cina, in una riedizione della guerra fredda che rende lo scenario più complicato.
L’Occidente non vuole fare la guerra ma neppure può ignorare il coinvolgimento della Turchia. I guai non sono soltanto di Erdogan ma anche nostri.
La verità è che gli Stati Uniti e l’Europa, all’inizio di questa crisi si sono affidati alla Turchia e a una valutazione sbagliata di Ankara condivisa dagli alleati della Nato: che bastasse poco tempo per abbattere Bashar Assad, un regime al capolinea ma non ancora finito. La Turchia ha quindi abbracciato il compito di dare una retrovia alla guerriglia. In un primo tempo era formata da oppositori e disertori siriani, poi i turchi hanno accolto, con l’appoggio finanziario delle monarchie del Golfo e di varie organizzazioni islamiche, formazioni di combattenti libici e di altri Paesi arabi, di reduci dall’Afghanistan o dall’Iraq, ben sapendo che cosa potesse significare il loro intervento.
Il risultato è che oggi i turchi combattono su due fronti, quello siriano e quello del Kurdistan iracheno, mentre la Nato non ha ancora ben chiaro quali siano le forze della guerriglia affidabili e neppure quale potrebbe essere il dopo Assad: l’opposizione è disunita e gli occidentali annaspano tra le sigle dei gruppi ribelli senza trovare gente credibile. Non è un caso che Kofi Annan abbia lasciato il suo incarico a Lakhdar Brahimi: sapeva che la via diplomatica, per l’ostinata resistenza di Assad e gli interessi in gioco, era quasi impossibile, come ha ribadito anche il suo successore. In Siria ogni soluzione politica, giorno dopo giorno, sembra svanire, inghiottita da un turbine di violenza fuori controllo.
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alexfaro
il sig. Negri dimentica un”piccolo”particolare:
Tra la Siria e l’allora URSS esisteva un trattato di alleanza militare,di durata trentennale(a questo trattato è dovuto l’uso,da parte della Russia,dell’unica base navale,posseduta nel mediterraneo,cioè il porto di Tartous,base che è ancora oggi usata dalla flotta Russa del mar Nero)
Trattato,stipulato da Assad padre,con il segretario del PCUS di allora(mi pare fosse Breznev)alla fine degli anni ’60,poi rinnovato con la Russia con presidente addirittura Eltsin!
Tutto questo alla metà degli anni’90.x altri trent’anni!
Quindi tuttora in vigore.
Poi esiste un altro trattato,sempre riguardante una alleanza politico-militare,che la Siria ha stipulato,con la repubblica Islamica dell’Iran(di questo al momento,non ricordo quando fu firmato)
Ora se quell’imbecille di Erdogan,nonostante la maggioranza della popolazione Turca è contraria all’intervento militare in Siria,senza contare che esiste anche la questione Kurda(vd il PKK)all’interno.
Osasse intraprendere una campagna militare contro il legittimo governo di Bashar al Assad,x es.”invadendo”il territorio Siriano,cosa succederebbe?
Visto che la Russia e la Cina hanno già x ben 3 volte messo il veto all’instaurazione di una”no fly zone”sulla Siria?
Ma questi pagliacci che sono al governo delle cd”democrazie occidentali”(ma x favore!)
Cosa vogliono,forse scatenare una 3^guerra mondiale?
Io spero che vengano a ben più miti consigli,capendo che la partita in medio oriente è ormai persa,x l’imperialismo-capitalista occidentale ed anche Arabo-Sunnita.
un saluto
Alexfaro