Dopo una sollevazione popolare che si è trasformata in uno sciopero generale di 48 ore, il governo di destra panamense è stato costretto oggi a sospendere, seppur in via temporanea, la promulgazione della legge 72 che prevede la vendita delle terre statali nella Zona libera di Colón (Zlc). Nel tentativo di placare le proteste – la cui repressione da parte dell’esercito e della Polizia è costata finora due morti – il governo ha promesso di modificare il testo, approvato venerdì scorso, in modo che il 100% dei proventi della vendita – invece del 35% stabilito inizialmente – sia destinato allo sviluppo sociale della provincia di Colón, quella del Canale di Panama, tra le più povere del paese.
L’annuncio della sospensione del provvedimento non ha però soddisfatto i rappresentanti delle organizzazioni sociali, sindacali e politiche che hanno promosso lo sciopero generale che per 48 ha paralizzato il paese lunedì e martedì. “Esigiamo la revoca della legge, non vogliamo il 100% vogliamo solo che non vendano le nostre terre” ha chiarito durante un’intervista Felipe Cabezas, dirigente del Frente Amplio Colonense, annunciando il proseguimento della mobilitazione.
Dall’istituzione della Zona ‘tax free’ nel 1948, i terreni di proprietà statale al suo interno venivano affittati alle imprese – per lo più straniere – con un introito medio annuo, in crescita costante, di 33 milioni nel 2011. Con la vendita dei lotti, il governo conta di incassare nell’arco di un ventennio almeno due miliardi di dollari. Ma le organizzazioni dei lavoratori, dei commercianti e degli imprenditori locali sono contrari alla svendita che comporterebbe la perdita, per sempre, di quello che viene considerato un patrimonio pubblico.
Ieri scontri molto duri si sono verificati tra manifestanti e agenti in tenuta antisommossa, che hanno di nuovo fatto ricorso alle armi da fuoco. Dopo il bambino di dieci anni ucciso venerdì, ieri anche un indigeno di etnia Kuna è stato colpito a morte da un proiettile. Ieri alla protesta, dopo scuole, uffici pubblici e negozi, si erano uniti anche le organizzazioni indigene e quelle degli autotrasportatori.
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