E’ stato annullato all’ultimo minuto lo sciopero generale che ieri avrebbe dovuto paralizzare la Tunisia indetto dopo una serie di aggressioni delle milizie islamiche del partito di governo Ennahda contro attivisti e dirigenti dell’Ugtt, la principale organizzazione sindacale del paese. Il più grave dei quali avvenne lo scorso 4 dicembre, quando centinaia di islamici, dopo un corteo, assaltarono la sede nazionale del sindacato a Tunisi e pestarono alcuni dirigenti e militanti del movimento dei lavoratori, senza che la polizia intervenisse contro gli aggressori.
Dopo due giorni di trattative con il governo l’Unione generale dei lavoratori tunisini ha deciso di revocare lo sciopero generale, dopo aver ricevuto dall’esecutivo alcuni impegni.
Gli otto punti dell’intesa sottoscritta tra le due parti prevedono: l’impegno del governo a rispettare il diritto all’attività politica, sindacale e civile; l’impegno comune a ristabilire un clima di normalità nel paese; la presentazione di una formale denuncia del governo in merito all’attacco subito da sindacalisti e lavoratori lo scorso 4 dicembre; la formazione di una commissione congiunta per indagare sui fatti del 4 dicembre; l’accelerazione delle inchieste giudiziarie sulle aggressioni squadristi che delle ultime settimane; il riconoscimento del ruolo centrale dell’Ugtt da parte del governo; la promozione congiunta di accordi sindacali siglati in passato ma incompiuti dal governo.
In una intervista ad Hannibal Tv diffusa subito dopo l’accordo, il capo del governo Hamadi Jebali ha definito gli ultimi sviluppi “una vittoria negli interessi del paese” e ha insistito sull’importanza del “rispetto della legge”.
Sul sito dell’Ugtt invece il segretario generale del sindacato, Hassine Abassi, ha auspicato “un dialogo serio, strutturato e permanente al fine di trovare il più largo consenso sulle grandi questioni su cui si confrontano i differenti attori della vita politica nazionale”.
Ma non tutti all’interno dell’Ugtt hanno condiviso la marcia indietro della direzione sullo sciopero generale. Soprattutto perché tra i punti accettati dal governo non c’è lo scioglimento della cosiddetta “Lega per la protezione della rivoluzione”, la milizia islamica responsabile delle aggressioni squadristi che contro sindacalisti e militanti di sinistra. La più grave delle quali, a Tataouine contro la sede dell’Unione regionale degli agricoltori e pescatori, ha provocato alcuni mesi fa la morte di un sindacalista.
”Hanno accettato di revocare lo sciopero – ha detto all’ANSA uno dei sindacalisti che contestano l’accordo e che ha chiesto l’anonimato – e questo sta facendo cantare vittoria al governo, che ha incassato la cancellazione dello sciopero senza offrire nulla in cambio. Senza una presa di posizione ufficiale contro la Lega restiamo esposti ad atti di violenza. Ci hanno detto (il riferimento e’ all’ufficio centrale dell’Ugtt, ndr) di vegliare, ma non era meglio insistere per disarmare i miliziani di Ennahdha?”. ”Sarebbe stato meglio – ha commentato un altro sindacalista – rinviare e non cancellare lo sciopero. Cosa faremo quando vedremo che non e’ cambiato nulla?”.
Secondo alcuni si tratta di una vittoria, ma solo parziale, del sindacato e del fronte di forze sociali e politiche laiche e progressiste che si oppone allo strapotere degli islamici di Ennahda, legati alla corrente internazionale dei Fratelli Musulmani (la stessa dell’egiziano Morsi). Che dopo una campagna elettorale all’insegna dell’islamismo moderato hanno, dopo la vittoria delle elezioni, dato una sterzata fondamentalista alle loro politiche, improntate alla imposizione della shaaria sul fronte religioso e a una difesa ferrea delle leggi di mercato e delle politiche liberiste in campo economico.
Nei giorni scorsi scioperi regionali convocati dall’Ugtt si erano tenuti a Sidi Bouzid, Kasserine, Gafsa e Sfax. E sul fronte sociale la situazione rimane incandescente, dopo che nelle regioni più povere e depresse del paese sommosse popolari e rivolte dei disoccupati e dei giovani hanno scatenato la durissima repressione del governo.
Proprio nelle ultime ore, in un ulteriore segnale di distensione, il governo ha deciso di far scarcerare 14 persone che nell’aprile del 2011 avevano partecipato alle manifestazioni anti-governative a Siliana, regione centro-settentrionale della Tunisia. A favore della loro liberazione migliaia di persone si erano mobilitate tra la fine di novembre e le prime settimane di dicembre con ulteriori proteste contro l’esecutivo represse con la forza dalla polizia. Sempre a Siliana gli abitanti hanno più volte chiesto le dimissioni del governatore e hanno denunciato la mancata applicazione di politiche per lo sviluppo economico di una delle regioni più depresse del paese.
A ordinare la liberazione dei 14 è stato il tribunale militare di Kef. Gli imputati dovranno comunque presentarsi, il prossimo 17 gennaio, alla prima udienza del processo intentato nei loro confronti.
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