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Questione kurda, speranze e vantaggi di un accordo

Mentre la Turchia elimina un veto che durava da più di mezzo secolo con cui erano stati messi all’indice libri proibiti, fra cui Marx-Engels e il poeta Hikmet, e riammette in commercio 453 testi e oltre seicento periodici anche quelli che trattano diritti umani e questione kurda, prosegue l’attenzione sui colloqui intercorsi fra il prigioniero eccellente Abdullah Öcalan ed emissari del governo. Negli ultimi giorni due deputati del Barış Demokrasi Partisi sono stati ammessi nel carcere di massima sicurezza dell’isola di İmralı; una è Ayla Akat Ata che da tempo tiene i rapporti fra il partito filo kurdo e il ministero della Giustizia. Non c’è stata nessuna relazione ufficiale, solo la notizia e alcuni rumors che sostengono che l’incontro sia durato addirittura cinque ore. Altre voci parlano d’un colloquio di due ore. Neppure i deputati del Bdp hanno profferito parola in merito, riservandosi un consulto con la direzione del partito che emanerà un comunicato ufficiale. Le trattative sono, comunque, in corso e hanno preso una piega seria. Anche Akdoğan, consigliere capo del premier in odore di assonanze, ha comunicato alla stampa il vivo interesse dell’Esecutivo nel ricercare un accordo.

La strada prescelta di fare dell’anziano ma sempre prestigioso leader guerrigliero l’unico interlocutore delle trattative per quanto difficile può sperare di conseguire più risultati rispetto a una delegazione kurda a più voci. Gli incontri avvenuti nel biennio 2008 e 2009 erano naufragati anche per la diversità di vedute fra le varie anime della rappresentanza della consistente etnìa. Ora Öcalan potrebbe pure venir bypassato dalla nuova dirigenza combattente, però segnali di discrepanze sembrano non esserci e alle stesse nuove leve una figura carismatica come quella del leader detenuto torna sempre comodo. Ciò non significa che quest’ultimo possa decidere per gli altri senza ascoltare una realtà esterna che lo vede isolato da ben tredici anni e lontano dalle sue terre da un periodo ancora più lungo. I messaggeri delle varie posizioni del movimento sono proprio i deputati del Bdp e taluni legali che stanno incontrando gli uomini della guerriglia dei monti di Kandil e non solo. La cautela resta il comune denominatore di tutte le parti in causa e degli stessi partiti turchi che inevitabilmente devono fare i conti con la vicenda.

Esponenti del governativo Akp sono ovviamente attivi sostenitori dell’operazione che, se andasse in porto, garantirebbe al partito un fenomenale risultato da sbandierare per le amministrative del prossimo ottobre. In questo fine settimana più d’un deputato dello schieramento islamico è intervenuto pubblicamente ricordando come la fine del terrorismo e la soluzione della questione kurda, che in circa trent’anni ha segnato oltre 40.000 vittime, farebbero fare all’economia e al ruolo internazionale della nazione passi avanti superiori a quelli già ottenuti da tempo. Anche i politici del maggiore partito d’opposizione (Chp) non possono non condividere l’importanza d’un possibile risultato favorevole alla stabilità del Paese Solo la destra estrema col Nationalist Movement Party ritiene che un accordo sarebbe una sconfitta dello Stato e la svendita dell’orgoglio turco al terrorismo. Naturalmente far leva sullo spirito nazionale produce qualche turbamento negli elettori degli altri due partiti. Uno come Öcalan è tutt’ora oltraggiato da un buon numero di turchi, anche non aderenti al Mhp, che lo giudicano l’orco che fa uccidere i ragazzi in divisa.

Però pragmaticamente l’accordo serve a entrambi i fronti logorati attorno a uno spargimento di sangue senza fine. Oggetto dello scambio è: la consegna delle armi da parte kurda e l’autorizzazione di Ankara della completa autonomia di alcune regioni del sud-est. I due obiettivi sono il massimo della concessione e della conquista per ciascuno, da lì a scalare potranno conseguire modifiche piccole o grandi. L’incertezza e il riserbo restano profondi. Certo rischiare il nulla di fatto può risultare un brutto colpo per tutti. Mentre da due mesi si parla, sparatorie e morte tengono banco: 46 le vittime a dicembre nella zona di frontiera irachena.

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