Resta alta la tensione in Iraq dove ieri la polizia ha sparato in aria per disperdere centinaia di manistestanti sunniti che protestavano contro il primo ministro sciita, Nouri al-Maliki, in una piazza di Mosul, nel nord del paese. Sempre a Mosul un’autobomba ha ucciso uno studente universitario e lunedì uomini armati avevano sparato contro due poliziotti ferendoli a morte. E’ stato inoltre scoperto il cadavere di una donna cristiana sgozzata nel suo appartamento. Dalla fine di dicembre i dimostranti bloccano la strada che porta alla frontiera siriana attraverso il deserto di Anbar.
Dal 23 dicembre si moltiplicano nel paese le manifestazioni della minoranza sunnita, che accusa al Maliki d’incompetenza nella gestione dei servizi pubblici e denuncia la legislazione antiterrorista da cui si sente presa di mira.
Domenica scorsa, i deputati sunniti, sciiti e kurdi non hanno trovato accordo in Parlamento sulle rivendicazioni dei manifestanti e l’Arabia saudita, sostenitrice dei sunniti iracheni, ha messo in guardia Baghdad sul pericolo dell’«estremismo religioso che alimenta la violenza nel paese».
Dopo la partenza ufficiale degli ultimi soldati Usa, nel dicembre 2011 (nel paese però rimangono centinaia di contractors e agenti di sicurezza americani), dopo nove anni di occupazione dell’Iraq, continuano le lotte di potere tra gruppi politici, etnici e religiosi e si profila la possibilità di elezioni anticipate prima dello scadere della legislatura, nel 2014.
Qualche giorno fa è tornato a farsi vedere e sentire, con un video, anche il latitante Ezzat Ibrahim al Duri, ultimo ex uomo forte del presidente Saddam Hussein (impiccato qualche anno fa), che ha dato il suo sostegno alle manifestazioni anti-governative sunnite.
L’ex vice presidente del Consiglio del Comando della Rivoluzione, la più alta istanza dirigente del passato regime, ha letto un comunicato seduto dietro ad una scrivania. «Ciascuna città e ciascuna regione, ciascun iracheno sono con voi e vi sostengono nelle vostre rivendicazioni contro l’alleanza persiana», ha dichiarato lasciando intendere che al Maliki è una burattino nelle mani dall’Iran, paese contro il quale l’Iraq di Saddam Hussein ha combattuto una lunga guerra all’inizio degli anni Ottanta.
Duri ha avvertito che il suo movimento «punirà fermamente tutti coloro che sostengono il progetto safavide», un riferimento ad una ex dinastia persiana. Duri, secondo gli americani, ha coordinato le attività della guerriglia in Iraq, dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003.
Dopo Duri è tornata a farsi sentire anche la “sezione” irachena di al Qaeda che ha rivendicato gli attentati sanguinosi contro i pellegrini sciiti avvenuti nelle ultime settimane. «La maggior parte dei gruppi è riuscita a raggiungere i propri obbiettivi, nonostante le misure di sicurezza per la protezione delle visite dei politeisti alle tombe di coloro che vengono venerati a Karbala», ha scritto in un comunicato. Fondata ideologicamente sul salafismo sunnita più radicale, al Qaeda non riconosce gli sciiti come musulmani.
Gli attentati avvenuti il 31 dicembre e il 3 gennaio scorso in una decina di città in tutto l’Iraq hanno provocato almeno 56 morti e oltre 130 feriti.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa