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Come i media perdonano gli omicidi israeliani

Israele spreca molto tempo a parlare di sicurezza dei confini e di come le connesse necessità conducano alle politiche verso i palestinesi. Con poche eccezioni, i media operano come promotori di questa perversione della realtà.

Tra l’11 e il 15 gennaio, quattro giovani palestinesi – di età compresa tra 17 e 22 anni – sono stati uccisi dal fuoco delle forze di occupazione israeliana. Gli omicidi sono avvenuti a Gaza e in tre diverse comunità lungo il Muro israeliano in Cisgiordania. In tutti i casi, l’esercito israeliano ha giustificato l’uso di una forza letale invocando la necessità di proteggere l’integrità del Muro e dei confini israeliani.

L’11 gennaio, il 22enne Anwar Mamlouk si trovava poco fuori il campo profughi di Jabaliya, a Gaza, quando i soldati israeliani gli hanno sparato, uccidendolo. Il giorno dopo, Odai al-Darawish, 21 anni, è stato ucciso alle tre del pomeriggio mentre attraversava il Muro israeliano in Cisgiordania per andare al lavoro in Israele. Inizialmente, fonti israeliane hanno riportato che i soldati hanno colpito al-Darawish alle gambe, secondo le regole di ingaggio. Ma fonti mediche hanno subito smentito dicendo che è stato centrato alla schiena: probabilmente è stato colpito mentre correva per salvarsi.

Al-Darawish viveva nel villaggio di Dura, vicino Hebron, dove a settembre dello scorso anno un uomo tentò il suicidio come disperata protesta per le difficili condizioni economiche che i palestinesi affrontano nella Cisgiordania occupata.

Mustafa Jarad aveva 21 anni ed era un contadino di Beit Lahiya, a Nord della Striscia di Gaza. È stato colpito alla testa da un cecchino israeliano il 14 gennaio mentre lavorava la sua terra. Ma nonostante l’abilità del soldato israeliano, Jarad non è morto subito. I dottori dell’ospedale Shifa di Gaza City hanno tentato di rimuovere la pallottola dal cervello, ma Jarad è morto dopo l’operazione.

Sparare ad uno studente

Il 14 gennaio Samir Awad, 17enne di Budrus, villaggio vicino Ramallah, è stato centrato alla testa, alla schiena e ad una gamba mentre scappava dai soldati. Samir aveva appena finito l’ultimo esame di metà anno a scuola e stava partecipando con altri ragazzi ad una protesta contro il Muro israeliano. Samir era stato già arrestato tre volte per aver preso parte a manifestazioni.

Rapporti in inglese su questi omicidi sono quasi inesistenti. Ad esempio, la stampa non era d’accordo sulle circostanze della morte di Anwar Mamlouk. La Reuters ha riportato che il fratello di Anwar, Hani, ha raccontato che Anwar stava studiando fuori casa quando è stato colpito. La BBC, invece, ha ripreso solo la versione dell’esercito israeliano, raccontando che Anwar era entrato in un’area vietata lungo il confine di Gaza, con decine di altri palestinesi.

Cambiare le responsabilità

Il New York Times ha utilizzato l’omicidio di Samir Awad, il quarto nell’ondata di uccisioni volontarie da parte israeliana di palestinesi disarmati, come opportunità per sottolineare “la crescente protesta” in Cisgiordania, spostando in modo bizzarro la colpa di quelle morti sul popolo palestinese. Si deve ricordare che quando il 17enne Muhammad al-Salaymeh è stato ucciso da un poliziotto di frontiera ad Hebron il giorno del suo compleanno, a dicembre, il New York Times è rimasto in silenzio.

Leggere la copertura del New York Times sugli omicidi di palestinesi da parte di Israele è una lezione adatta a qualsiasi aspirante spin-doctor del linguaggio dell’equivoco. La corrispondente Isabel Kershner ha puntato l’articolo su Budrus non sul grilletto facile dei soldati israeliani che operano in un’impunità senza fine, ma su “l’inquietudine latente” dei palestinesi, sulla loro crescente partecipazione in atti di “disturbo” alla “relativa stabilità” che Israele cerca di mantenere e sulla “profonda crisi finanziaria che impedisce all’Autorità Palestinesi di pagare i salari dei dipendenti”.

Però non spiega perché l’ANP non è in grado di pagare gli stipendi delle due decine di migliaia di dipendenti: Israele ha rubato le tasse e le imposte di dogana dei palestinesi.

Omettere questioni chiave

Ecco come il New York Times trasforma l’assassinio a sangue freddo di un teenager in una storia volutamente offuscata, in una nebbia opaca di tensioni e di “crescente disordine”. Questa inesorabile nuvola di ambiguità si regge sulla metodica omissione dei fatti da parte della stampa: non solo dei fatti riguardanti i recenti omicidi di Odai al-Darawish, Muhammad al-Salaymeh e Anwar Mamlouk, ma anche quelli sugli innumerevoli raid, le demolizioni e le violenze che Israele perpetra contro la popolazione palestinese ogni settimana.

Questi sono il tipo di fatti che, se appropriatamente riportati dai giornali, permetterebbero ai lettori di sapere che Israele viola i termini di legge sul controllo dei suoi preziosi “confini”. Articoli corretti smaschererebbero una bugia oggi inattaccabile: al fine di proteggere i propri confini, è necessario sparare e uccidere ragazzi innocenti, uomini e donne.

Basarsi sulle fonti israeliane

La terribile verità su cosa è successo questa settimana è nascosta dalle bugie, secondo le quali i giovani uccisi volevano trasgredire le regole e secondo le quali il Muro è necessario a tenere lontano i terroristi. La BBC, il New York Times, la Reuters e l’AP fanno riferimento alle fonti militari israeliane nei loro rapporti sulla morte di quattro giovani palestinesi. Come risultato, ai lettori viene detto che i soldati israeliani hanno seguito il protocollo per la difesa della sovranità e dei confini di Israele.

Con la sola notabile eccezione dei quotidiani inglesi, The Guardian e The Indipendent, i media hanno doverosamente serrato i ranghi a difesa dello Stato di Israele, riportando l’utile fiction che mostra questi giovani palestinesi uccisi come minacce per la sicurezza e la stabilità, mantenuta dalla chimera della separazione.

E per quanto riguarda i confini, è estremamente probabile che gli addolorati genitori dei giovani uccisi vorrebbero vedere l’esistenza di un qualsiasi tipo di confine che protegga i loro figli dalla presenza di un’entità minacciosa, violenta e usurpatrice. (Traduzione a cura della redazione di Nena News)

Charlotte Silver – The Electronic Intifada

*Charlotte Silver, giornalista, lavora tra la Palestina e San Francisco.

* da Nena News

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