Il quotidiano on line Prensa Latina ha rilanciato la notizia, diffusa dalla Radio tunisina FM Express, che conferma la morte di 132 mercenari tunisini avvenuta nella provincia settentrionale di Aleppo, in Siria. Il gruppo di tunisini, secondo quanto ha dichiarato Radio FM Express, provenienti per lo più dalla provincia di Sidi Bouzid, erano in buona parte legati ad Al Nusra, il braccio armato di al Qaeda sostenuto e finanziato dal Qatar.
Secondo i responsabili dell’Esercito Arabo Siriano, sarebbero decine di migliaia i miliziani e i mercenari stranieri presenti oggi sul suolo siriano, provenienti da oltre trenta paesi, in particolare dal Medio Oriente, ma persino dalla Spagna e dall’Australia.
Ad essere oggetto di attacchi da parte delle formazioni armate non sono solo le istituzioni e l’Esercito Arabo Siriano; la tipologia degli attacchi sembra mirare a indebolire la società siriana. Gli attentati e le autobombe fatte esplodere nelle maggiori città, oltre a seminare il panico tra la popolazione, continuano a tenere sotto pressione tutte le infrastrutture siriane, comprese quelle militari e sanitarie. Nel mirino di formazioni come l’Esercito Siriano Libero sono finiti obiettivi industriali, di approvvigionamento alimentare, siti archeologici e televisioni. Un grave attentato per alcuni giorni ha messo fuori uso l’impianto di Adra, che rifornisce di gas la città di Damasco. Stando a quanto dichiarato dal direttore, l’ingegner Maatar Mustafa, la produzione è ripresa, ma al momento può garantire solo il 50% del gas necessario. La penuria di combustibile è aggravata dall’embargo voluto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea; risulta evidente anche agli occhi più ingenui l’azione combinata degli attentati e dell’embargo.
Tra i recenti obiettivi degli attentati ci sono anche i mulini per la produzione di farina; è il caso del mulino di Tirsheen, sempre nella zona di Adra, messo fuori uso dall’assalto di un gruppo armato. L’attacco alle infrastrutture del paese, oltre a provocare la penuria di alimenti e forniture, determina in molti casi l’aumento dei prezzi delle merci. L’insospettabile Washington Post, sempre stando a quanto riporta Prensa Latina, ha intervistato uno dei responsabili dei gruppi armati siriani, Jihad Abu Saud (nome di comodo), di 27 anni, che vive nella provincia nord-occidentale di Idleb. Saud ha dichiarato al giornale statunitense che tra i “ribelli” ci sono molti esperti di archeologia, cosa che ha consentito di trafugare importanti manufatti dai principali siti archeologici. Tavolette con iscrizioni sono state prelevate dal sito di Ebla, e, insieme ad altri importanti reperti facilmente trasportabili, sono state vendute sui mercati dell’arte della Giordania, della Turchia e del Libano, per poi finire nelle collezioni private di qualche magnate. Il Washington Post riporta i dati della Società per la Protezione delle Antichità in Siria, con sede in Francia, secondo la quale sono ben 12 su 36 i musei saccheggiati dai miliziani islamisti. Il saccheggio delle opere d’arte, in questa regione culla della civiltà, è stata già praticata dagli USA nel corso della guerra all’Iraq. In quell’occasione centinaia di opere furono trafugate e altrettante distrutte dai bombardamenti; tragicamente memorabile il raid della NATO contro il sito babilonese di Ur.
Sin dall’inizio, l’opposizione armata interna ed esterna ha agito per indebolire il consenso e la tenuta del governo. Dopo due anni di conflitto che hanno aggravato la situazione economica del paese, su cui oltretutto pesa l’embargo imposto dall’UE e dagli USA sull’import e l’export, il Governo a guida Baath sembra ancora godere del sostegno di una parte consistente della popolazione. Contrariamente a quanto visto in Iraq o recentemente in Libia, le istituzioni non si sono sfaldate e, tra queste, c’è l’esercito, che continua ad avere una capacità di tenuta e di reazione.
Intervistato da Prensa Latina a l’Avana, il Vicepresidente per gli Affari economici e Ministro del Commercio Interno siriano, Yamil Kadri, ha sostenuto che il dialogo e la riconciliazione nazionale sono un imperativo per la Siria oggi. “La soluzione al conflitto che scuote la nazione da quasi due anni deve passare attraverso una soluzione politica sulla base della riconciliazione e del dialogo nazionale”, ha dichiarato. Un concetto ripreso dal primo ministro Wael al-Halaki, che a margine di una visita di diplomatici indiani ha sostenuto che la Siria è aperta a tutte le iniziative politiche volte a risolvere la crisi, laddove queste garantiscano la sua sovranità, indipendenza e integrità territoriale, senza interferenze esterne .
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa