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Il grido di libertà dei Curdi invade Strasburgo

Lo scorso sabato, a ridosso del 14° anniversario della cattura di Abdullah Öcalan, leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), avvenuta in Kenia il 15 Febbraio del 1999 per mano dei Servizi Segreti Turchi e con il sostegno di Stati Uniti, Israele e di alcuni paesi europei fra i quali la Grecia, migliaia di curdi rifugiati in Europa, insieme a simpatizzanti della causa curda, come avviene ogni anno, sono tornati a riempire le strade della città di Strasburgo, capitale politica dell’Unione Europea.

Secondo quanto riferito dalla FEYKA (Federazione delle Associazioni Curde in Francia), che ha organizzato la manifestazione, circa 40 mila persone hanno sfilato nella città francese, unendo in questo la loro voce a quella dei curdi che il 15 Febbraio hanno manifestato nelle città, curde e non, della Turchia per chiedere la scarcerazione del loro leader, da 14 anni detenuto nel carcere sull’isola di Imrali, nel Mar di Marmara, e dal 27 Luglio del 2011 in condizioni di pressoché totale isolamento. 

Partito in mattinata dalla stazione centrale della città francese, il corteo ha raggiunto Place de la Mainau dove una serie di interventi, intervallati dall’esibizione di gruppi musicali, ha concluso la giornata.

Tanto Remzi Kartal, presidente del Kongra-Gel (Congresso del Popolo Curdo), quanto Abdulselam Mustafa, rappresentante del Partito curdo siriano PYD (Partito dell’Unione Democratica), hanno sottolineato la possibilità che il 2013 segni una svolta per la resistenza curda sia rispetto alla liberazione di Öcalan sia rispetto a quanto sta avvenendo nel Kurdistan Occidentale (il territorio curdo nello Stato siriano), dove, nel quadro della totale destabilizzazione che sta vivendo la Siria, i curdi sono arrivati a controllare gran parte del loro territorio.

Pur essendo la denuncia della detenzione di Öcalan il motivo principale della manifestazione, negli interventi, ma anche negli striscioni portati in strada, non potevano mancare dei riferimenti ai recenti avvenimenti che hanno profondamente segnato il movimento curdo e che chiamano direttamente in causa lo Stato francese: i 17 attivisti curdi arrestati tra Tolosa e Bordeaux lo scorso 12 Febbraio e il barbaro omicidio, avvenuto a Parigi lo scorso 9 Gennaio, delle tre dirigenti e attiviste Sakine Cansiz, co-fondatrice del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, Fidan Doğan, rappresentante del KNK (Congresso Nazionale del Kurdistan) e Leyla Şaylemez, appartenente al movimento giovanile curdo.

Rispetto all’assassinio delle tre donne, diversi sono stati gli interventi nei quali si è chiesto alla Francia di far luce su quanto avvenuto. Sebbene infatti la polizia francese abbia già arrestato un uomo accusandolo dell’omicidio e sebbene la stampa curda abbia dimostrato che si tratta di un nazionalista turco infiltratosi nel movimento curdo parigino, ancora rimane da chiarire chi abbia voluto e organizzato questo feroce gesto. Aysel Tuğluk, co.presidente del Congresso della Società Democratica (DTK) ha affermato: “La Francia deve far luce su tutti i dettagli di questi omicidi, altrimenti ne sarà responsabile. Non ci fermeremo mai e daremo battaglia per avere giustizia e verità sulle esecuzioni.” Luisa Morgantini, invece, chiamata sul palco in quanto ex membro del Parlamento Europeo, ha detto: “Sakine, Fidan e Leyla ci hanno insegnato come lottare per la libertà e la giustizia.”

A chiudere la manifestazione abbracci e strette di mano. Già, perché quella di sabato è stata anche un’occasione di incontro per migliaia di attivisti curdi, costretti a vivere come rifugiati nei diversi Paesi dell’Unione Europea e con il sogno comune di poter rientrare un giorno nella loro Terra da uomini e donne liberi.

Non solo. È stata una manifestazione intergenerazionale, che ha visto sfilare ragazzi, adulti e bambini, uomini e donne, mostrando così tutta la forza del movimento di resistenza curdo e ponendo l’accento sulla liberazione di Öcalan come conditio sine qua non per avviare un reale processo di pace. Non a caso uno degli slogan più cantati è stato “Be Serok Jiyan Nabe” – “Senza Öcalan non c’è vita”.

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1 Commento


  • alfredo

    Ricordo che Ocalan cadette nelle mani dei servizi segreti israeliani che lo consegnarono nelle mani dei carnefici turchi anche per colpa del governo D’Alema e del suo ministro Diliberto. Ocalan si vide costretto allora ad andarsene dall’Italia e purtroppo fu la sua fine.
    In ritardo D’Alema gli riconobbe l’asilo politico.Mi chiedo se al posto di D’Alema ci fosse stato Craxi che evitò fermamente sul suolo italiano il sequestro di un dirottatore della motonave lauro,Ocalan sarebbe partito dall’Italia?

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