Samer Issawi ha interrotto lo sciopero della fame che ha portato avanti in carcere per oltre otto mesi dopo un accordo raggiunto dal suo avvocato con le autorità israeliane che prevede il suo rilascio a Gerusalemme tra otto mesi. Issawi, in fin di vita in ospedale, nei giorni scorsi aveva rifiutato di essere liberato «all’estero», ossia di essere deportato in un altro paese per 10 anni.
Grande la felicita’ a Gerusalemme tra i famigliari del prigioniero politico palestinese per il risultato conseguito al termine di una protesta che ha portato Issawi a sfiorare la morte e che ha mobilitato non soli i palestinesi ma anche tanti attivisti internazionali.
Issawi sarà liberato tra otto mesi dopo aver scontato una condanna per aver violato i termini della sua precedente scarcerazione (avvenuta nell’autunno del 2011) che lo obbligavano a non uscire da Gerusalemme.
Nei giorni scorsi l’Autorità nazionale palestinese aveva sollecitato l’Unione europea a fare «passi immediati e concreti» per ottenere il rilascio di Samer Issawi che ha perso finora almeno 45 chilogrammi e il suo battito cardiaco è di 28 pulsazioni al minuto. In una lettera inviata al capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat aveva sottolineato come la vita di Samer Issawi «sia appesa a un filo». «Se Issawi dovesse morire – aveva aggiunto Erekat – noi considereremo la comunità internazionale parzialmente responsabile per la sua tolleranza verso le orribili azioni di Israele che hanno creato questa situazione terribile».
Issawi, 33 anni di Gerusalemme, è sopravvissuto sino ad oggi assumendo soltanto acqua, vitamine e infusioni. «Mi è vietato fargli visita – aveva denunciato la madre qualche giorno fa – l’ultima volta l’ho visto in tribunale a febbraio, ma non era autorizzato a parlarmi. Tutto quello che ho potuto vedere è stato pelle e ossa. Ha i reni che non funzionano, il cuore anche, e ha sempre mal di testa. Non riesce ad andare da solo in bagno».
La scorsa settimana Issawi aveva inviato una lettera di condanna agli intellettuali israeliani perchè non si erano a mobilitarsi a suo favore. Da parte loro gli scrittori Amos Oz e A.B. Yehoshua hanno risposto invitandolo soltanto a mettere fine allo sciopero della fame. In un articolo pubblicato il mese scorso sul “Guardian”, Issawi aveva scritto che lo sciopero della fame è «la mia ultima pietra da scagliare contro i tiranni e i carcerieri a dispetto dell’occupazione razzista che umilia il nostro popolo… Se muoio, sarà una vittoria; se mi libereranno, sarà una vittoria, perchè in entrambi i casi mi sono rifiutato di arrendermi all’occupazione israeliana, alla sua tirannia e arroganza». Alla fine ha avuto ragione.
da Nena News
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