Continua in Danimarca il braccio di ferro tra il governo del partito socialdemocratico e gli insegnanti aderenti ad uno dei sindacati di categoria che ha deciso di non firmare un accordo che prevede un aumento netto dell’orario di lavoro – con l’estensione a tutte le scuole del tempo pieno – con il conseguente svilimento della qualità dell’insegnamento. I lavoratori denunciano che le ore di presenza a scuola dedicate alla preparazione dell’attività didattica, in base all’accordo imposto dal governo, verrebbero pagate assai meno di quelle di lezione. Però in ballo non c’è solo l’orario di lavoro, ma anche il cosiddetto ‘modello danese di mediazione’ tra amministrazione pubblica e lavoratori in un paese in cui il tasso di sindacalizzazione è uno tra i più alti del continente. Un modello che concede ai sindacati di gestire collettivamente l’applicazione di quanto indicato nei contratti, mentre ora il governo e i comuni vorrebbero bypassare le organizzazioni sindacali per imporsi direttamente sui singoli dipendenti. L’esecutivo di centrosinistra si è posto l’obiettivo di ridurre le spese sociali – in particolare nei campi dell’istruzione e della sanità – ma al tempo stesso ha aumentato i finanziamenti ai settori privati, ai quali si rivolgono sempre più danesi benestanti scontenti del degrado del welfare.
Dal 2 aprile scorso quasi 600 mila alunni di diverse età hanno trovato le loro scuole chiuse, in seguito alla decisione da parte dei comuni di ricattare gli insegnanti ordinando un ‘lock out’ pensando così di obbligarli a cedere. Come dire: se non firmi il contratto ti impedisco di rientrare a scuola e di lavorare. Tecnicamente si dovrebbe parlare di una vera e propria serrata, decisa dalla controparte padronale – in questo caso le amministrazioni comunali – ma nei fatti deve essere considerato uno degli scioperi più lunghi mai realizzati in Danimarca, visto che gli insegnanti continuano a rimanere fuori dalle loro scuole per loro scelta, non volendo piegarsi ai diktat di un partito socialdemocratico accusato apertamente dal sindacato di sinistra di essere sempre più proni ai principi del liberismo. Si tratta nei fatti di uno sciopero anche perché gli insegnanti – nel frattempo diventati 69 mila – protagonisti del conflitto sulla ‘riforma’ della scuola non ricevono il loro stipendio dalle amministrazioni. Per sostenerli è sceso però in campo il loro sindacato – il Danmarks Lærerforening – che ha affermato di essere in grado di pagare i salari per almeno tre mesi. Da più di tre settimane ormai migliaia d’insegnanti scendono in piazza a manifestare contro il governo e contro le amministrazioni comunali. In alcuni casi a loro si affiancano associazioni di genitori che non vogliono che le scuole diventino dei parcheggi per i loro figli senza qualità, e cominciano a pretendere che vengano loro restituite le tasse già pagate che i comuni non investono pagando gli insegnanti durante la ‘serrata’.
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