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La guerra di Erdogan contro twitter: decine di arresti

Una ”cancrena”, una ”minaccia” per la società. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan continua a ribadire ogni giorno la propria “denuncia” nei confronti delle ”menzogne” delle reti sociali, twitter in testa, che centinaia di migliaia di giovani scesi in piazza per chiedere le sue dimissioni usano per scambiarsi appuntamenti, commenti, informazioni e per bypassare la censura.

Quelle di Erdogan non sono invettive. Da quando il ‘sultano’ di Ankara una settimana fa ha lanciato l’offensiva contro twitter, almeno 47 giovani sono finiti in manette accusati di avere mandato messaggini ‘sediziosi’ di appoggio alla protesta attraverso le reti sociali: 34 solo a Smirne sono stati arrestati per avere ”fatto propaganda e incitato alla rivolta” su twitter. Tutti hanno meno di 20 anni. Altri 13 sono stati arrestati a Adana con la stessa accusa. Il quotidiano di sinistra Sozcu ha scritto che i ragazzi di Smirne sono stati arrestati per avere ‘ritwittato’ la foto di un poliziotto che strattona per i capelli una ragazza sul lungo mare di Smirne e poi la prende a manganellate. ”Ora é chiaro – ha accusato – che mandare questa foto é un crimine organizzato”. Il giornale Taraf, anche se più moderato politicamente, ha pubblicato alcuni messaggi incriminati: ”Incontriamoci a Piazza Gundogu alle 19.30”, ”Non andare a Piazza Losanna c’é la polizia”, ”Ci stanno prendendo a manganellate”. ”Ecco che cosa significa democrazia avanzata”, ha ironizzato Sozcu.

Per il sistema di potere costruito da Tayyip le reti sociali si sono rivelate una vera minaccia dall’inizio della rivolta e comunque il controllo e la censura su google, su youtube e poi su facebook erano già aumentati negli ultimi anni anche sulla base di una sempre più aggressiva campagna di “moralizzazione dei costumi”. Davanti al silenzio dei mass media controllati o intimiditi dal governo (la Turchia é il paese del mondo con il maggior numero di cronisti in carcere), accusano i manifestanti, le decine di migliaia di giovani scesi in piazza si sono scambiati informazioni, hanno chiesto aiuto, denunciato le violenze della polizia su twitter e facebook. Fra le 16 del 31 maggio e le 14 del primo giugno sono stati inviati due milioni di tweet. La maggior parte dei quali, circa l’80%, in turco, rivela uno studio, smentendo che l’incitamento alla rivolta sia stato di fonte esterna. ”Se non ci fossero state le reti sociali, nulla sarebbe stato possibile”, spiega Sedat Kapanoglu, fondatore di Eksi Sozluk, il ‘twitter turco’. Un giudizio esagerato, considerando che all’interno delle manifestazioni e della protesta agiscono gruppi e partiti politici organizzati, per lo più di sinistra e con una forte base militante, che utilizzano strumenti più diretti di comunicazione. Ma certamente l’uso dei social network è stato importante per allargare la base di massa della protesta, soprattutto tra i giovani e gli studenti.
Ma gli arresti di Smirne e Adana, avverte, hanno avuto un effetto intimidatorio. ”C’e’ stato un netto calo dei tweet. Il movimento di resistenza rimane fragile, dobbiamo stare attenti alla disinformazione”. Il partito Akp di Erdogan sta preparando una normativa che controlli più strettamente le reti sociali, scrive Hurriyet. ”Un tweet che contenga menzogne e calunnie é molto più pericoloso di un’autobomba”, ha affermato nelle ultime ore Ali Sahin, responsabile del partito di governo Akp per i mass media. Le reti sociali, accusa, hanno contribuito alla ”cospirazione” in corso per ”rovesciare il governo”. Ci vuole quindi, afferma Sahin, una legge che le “regolamenti”. E nel frattempo i giovani, a decine, finiscono in carcere.

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