Per il premier turco Recep Tayyip Erdogan, la protesta di Piazza Taksim a Istanbul ha avuto l’effetto di un vero e proprio ‘vaso di Pandora’. Una volta scoperchiato, non ha solo mostrato al mondo il lato oscuro del primo ministro, contrapposto all’immagine di riformatore dell’economia e artefice del connubio tra Islam e “democrazia” che si é costruita negli anni. La crisi ha anche fatto emergere i conflitti interni al ‘sistema Erdogan’, come quello con il presidente della Repubblica Abdullah Gul o quello con i movimenti islamici che fino a poco fa lo sostenevano. Tra le voci scese in campo contro il premier e il suo autoritarismo nella gestione della protesta per la distruzione del Gezi Park, c’è anche quella di Fethullah Gulen, teologo musulmano trasferitosi dallaTurchiaagli Stati Uniti negli anni Novanta, voce dell’Islam “moderato” e intellettuale tra i più influenti secondo la rivista ‘Foreign Policy’. E capo di un vero e proprio impero economico a capo di una fitta rete di scuole, tv e giornali in Turchia e soprattutto nel resto del mondo. “Se si dice che i manifestanti non stanno rivendicando i loro diritti, si ignorano le istanze di tanti giovani. Se innocenti vengono uccisi, se vengono affrontati con i lacrimogeni e se qualcuno é cieco abbastanza da non vedere, l’incendio divamperà”, ha detto Gulen in un video pubblicato sul suo sito. Una presa di posizione che certo stride con i toni usati da Gulen nei confronti di Erdogan all’inizio della sua carriera da premier, quando lo esaltava come portatore di un Islam moderato, in grado di mettere fine all’egemonia ultralaica dei militari turchi. Per molti analisti, Erdogan non esisterebbe se non fosse stato fortemente sostenuto da Gulen e dalla sua rete, che é in grado di condizionare una grande fetta dell’opinione pubblica tanto inTurchiaquanto tra i turchi della diaspora.Il ‘teologo’ controlla, tra le altre testate, il quotidiano Zaman e la sua versione in inglese, Today’s Zaman, tra i più letti inTurchiae all’estero. Fino a poco fa grandi sostenitori del premier, di recente i due giornali hanno cominciato ad attaccarlo. “Il governo di Erdogan sta commettendo un suicidio”, titolava un editoriale pubblicato da Zaman nei giorni in cui Piazza Taksim cominciava a infiammarsi. Il quotidiano ha inoltre dato grande spazio a interviste con gli “islamici moderati” che manifestano a Istanbul insieme ad ambientalisti, kemalisti e liberali. “Siamo contro il taglio degli alberi, Erdogan non mi piace, é troppo arrogante”, dice Mustafa, un anziano con copricapo blu e lunga barba bianca, intervistato da Zaman nel quartiere Carsamba di Istanbul, uno dei più religiosi della metropoli. “Il premier é troppo autoritario – aggiunge Beyza, una giovane con il velo islamico – era chiaro che prima o poi qualcuno si sarebbe ribellato. Noi che portiamo il velo non la pensiamo tutte allo stesso modo”. E poi un tassista: “Noi turchi non sopportiamo che ci si comandi a bacchetta. Lo dico io che sono religiosissimo”, dice mostrando una copia del Corano. Per molti, le proteste di Piazza Taksim hanno dato a Gulen una buona occasione per mettere in atto un piano che meditava già da tempo: scaricare l”ingombrante’ Erdogan. In ‘esilio’ negli Stati Uniti dal 1999 per sfuggire alle accuse dei militari di lavorare a un piano di golpe islamico, Gulen guida oggi un movimento (gulenisti o Hizmet), che conta su più di mille scuole sparse in 140 paesi, oltre a decine di tv e giornali. Una rete usata per favorire l’ascesa di Erdogan, e che ora gli é utile per offuscare l’immagine del ‘sultano’.Negli ultimi mesi, secondo una recente analisi dell’International Business Times, Gulen si é scontrato con Erdogan su vari temi, primo tra tutti l’inchiesta Ergenekon, che ha messo alla sbarra centinaia di alti ufficiali, intellettuali e giornalisti accusati di voler organizzare un colpo di stato contro l’Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo. Un’inchiesta che ha il ‘placet’ di Gulen, ma che diventa sempre più scomoda per Erdogan. Ci sarebbero inoltre rivalità tra i comandi della polizia – che sarebbe vicina a Gulen – e uomini dell’intelligence legati invece più strettamente al premier. Non é un caso, quindi, se nel suo viaggio a Washington del 16 maggio scorso, Erdogan non abbia incontrato Gulen. E non é un caso neanche la presa di distanze del presidente della repubblica Abdullah Gul dalla repressione di Piazza Taksim.
Gul, che ha mostrato molta più moderazione del premier nei confronti delle manifestazioni e soprattutto più pragmatismo sulle singole questioni, é infatti considerato l’esponente politico turco più vicino a Gulen in questo momento e sarebbe anche l’uomo su cui il teologo punta per evitare che, con un cambio della Costituzione a favore di un sistema presidenziale, nel 2014 Erdogan riesca a coronare il suo sogno di diventare il nuovo ‘sultano’ dellaTurchia.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa