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Colombia: storie di campesinos e sfruttamento

“Il centro di El Tarra era uno degli avamposti armati della Colpet (Colombian Petroleum Company) contro i Barí (popolo indigeno, ndr) per costruire il primo oleodotto alla fine degli anni ‘30. Oggi ha circa 13.000 abitanti, 8000 dei quali vivono nei villaggi e coltivano mais, fagioli e, naturalmente, coca”: così il quotidiano ‘El Espectador’ comincia un interessante approfondimento sulla crisi nel Catatumbo, la regione nord-orientale al confine con il Venezuela dove dal 10 giugno i ‘campesinos’ sono tornati a protestare con un ‘paro’, uno sciopero, reclamando il diritto a una vita dignitosa. Oggi una delegazione di ‘campesinos’ dovrebbe essere ricevuta a Bogotá.

“Nella strada principale, l’esercito ha un fortino che guarda alla piazza. Basandosi sul diritto internazionale umanitario la gente ha chiesto che la forza pubblica esca dall’abitato dato che dalle torrette si è sparato contro la popolazione civile con bilanci tragici… El Tarra è stato uno degli epicentri delle organizzazioni contadine che da cinque anni propongono la creazione di una Zona di riserva contadina (Zrc), figura creata dalla legge 160 del 1994. L’amministrazione di Álvaro Uribe (la precedente, ndr) archiviò la richiesta mentre aumentava lo sradicamento forzato delle coltivazioni di coca da parte di gruppi di civili vigilati dalla forza pubblica, il che non ha fatto altro che trasferire le coltivazioni della zona, al punto che si semina quasi allo stesso ritmo dello sradicamento con effetti perversi sulla conservazione della foresta…” prosegue il giornale nella sua ‘fotografia’ del Catatumbo.

‘El Espectador’ ricorda che il Catatumbo fu oggetto di una vera e propria “invasione paramilitare protetta dalla forza pubblica nel 1999”, la cosiddetta Operación Catatumbo. A poche ore da El Tarra, “si apre la piana del fiume Catatumbo, dove oggi ci sono grandi piantagioni di palma da olio africana. La storia di questa modalità di sfruttamento agroindustriale è semplice ed è preceduta da quello che Salvatore Mancuso – già comandante dei paramilitari delle Autodifese unite della Colombia-Auc – descrisse come un capitolo doloroso per il paese”.

Con le incursioni degli ‘squadroni della morte’ solo nel primo anno si contarono “800 civili assassinati, molti in massacri; un numero incerto di ‘desaparecidos’ e almeno 20.000 sfollati”. Uno scenario che destò finanche l’attenzione dell’allora ambasciatore statunitense in Colombia, Curtis Kamman, che scrisse del rifiuto dell’esercito di combattere i paramilitari col pretesto “di avere poche risorse e troppe missioni”. Non solo: scrisse anche che secondo comunicazioni private dell’ufficio della vice-presidenza colombiana “soldati dell’esercito si misero il braccialetto delle Auc e parteciparono attivamente agli stessi massacri…”.

L’obiettivo era “impadronirsi di un territorio di produzione e lavorazione della coca” all’epoca controllato dalla guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), ma col passare del tempo e con la resa dei capi paramilitari “il vero motivo è venuto a galla: acquistare a prezzi molto bassi terre abbandonate da contadini e agricoltori in una zona privilegiata per la qualità del suolo, l’umidità, l’esposizione solare, la vicinanza di mercati e, per finire, libera dalla guerriglia. Non si può negare – sottolinea il giornale – “la lucidità di coloro che lo pianificarono”.

Oggi nel Catatumbo si contano circa 20.000 ettari di palma da olio africana e un grande impianto di estrazione: “Se tutto procede così – osserva il quotidiano – entro due anni si costruirà il secondo impianto per lavorare i frutti prodotti da 50.000 ettari”.

Con l’arrivo di Juan Manuel Santos alla presidenza, nel 2010, tornò a prendere piede l’ipotesi delle Zone di riserva contadina “che Uribe aveva criminalizzato come repubbliche indipendenti e aree di retroguardia delle Farc”; negli ultimi anni la richiesta di formare Zrc – che peraltro implicherebbe il divieto ad applicarvi mega progetti di sfruttamento minerario e agroindustriale – è passata da 8 a oltre 50 al livello nazionale, con un forte appoggio specialmente nel Catatumbo: da tre anni le organizzazioni contadine regionali hanno realizzato le procedure legali per essere riconosciute come Zrc in un’area di circa 300.000 ettari.

L’iter è stato tuttavia frenato dai militari con il pretesto che il Catatumbo “è un’area di frontiera” e che una Zrc “metterebbe in pericolo la sicurezza nazionale, tesi rafforzata dal governo con l’argomento che l’iniziativa di creare Zone di riserva contadina fa parte della strategia di negoziato delle Farc all’Avana” dove è in corso lo storico processo di pace tra il governo Santos e la guerriglia.

Oggi, riassume ‘El Espectador’, “la scintilla che ha innescato l’incendio sono state le operazioni di sradicamento della coca nella regione. Il motivo è semplice, secondo i leader dello sciopero: nessun’altra coltura può permettere al contadino di sopravvivere. Pertanto si impegnano, in cambio della dichiarazione di Zona di riserva contadina, a contribuire a sradicare. Per loro una Zrc non è solo una zona dove non ci può essere concentrazione di terre – pericolo rappresentato dall’espansione della palma da olio – ma anche dove ci deve essere lo sviluppo di programmi di credito istituzionali, l’assistenza tecnica, l’irrigazione, la salute, l’istruzione e la titolazione della terra”. La situazione è paradossale, conclude il giornale: i contadini chiedono il cambiamento di un’economia illegale con una legale. Ma per ora restano parole nel vento.

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