Per l’ennesima volta ieri sera il centro di Istanbul è stato trasformato dalla Polizia in un vero e proprio campo di battaglia. Da una parte i reparti antisommossa bardati di tutto punto, coadiuvati dai Toma, e dall’altra alcune migliaia di manifestanti che si erano dati appuntamento alle 17,30 nel viale Istiklal con l’intenzione di marciare verso piazza Taksim e raggiungere così Gezi Park. L’intenzione era quella di protestare contro una nuova legge sui progetti di sviluppo urbano, approvata a metà settimana, che concede piena autorità in materia al Ministero per l’Ambiente e la Progettazione Urbana, eliminando la supervisione finora obbligatoria esercitata dall’Ordine degli architetti e degli ingegneri (Tmmob), molti dei quali sono tra i più determinati avversari dei progetti di cementificazione di Erdogan e del sindaco di Istanbul. Dopo essersi concentrate ad alcune centinaia di metri da Piazza Taksim la folla ha cominciato a muoversi scandendo slogan contro la speculazione edilizia e le grandi opere come “no al terzo ponte, no al canale Istanbul, no ai progetti folli”. Ma idranti e lacrimogeni hanno creato un muro che i manifestanti non sono riusciti a superare e per alcune ore nelle vie adiacenti a Istiklal si sono ripetuti i rastrellamenti a caccia di dimostranti da arrestare o da colpire con i lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo. Diversi gli arresti e i feriti.
A chiarire che il regime dell’Akp non ha nessuna intenzione di fare un passo indietro, ieri, la diffusione della notizia che la polizia sostituirà i vigilantes privati finora incaricati di garantire la sicurezza nei campus universitari. ”Non vogliamo vedere giovani andare in giro con bottiglie incendiarie o machete” ha affermato lo stesso premier Erdogan ieri. ”Metteremo nelle università di stato la polizia di stato al posto della sicurezza privata”.
Il riferimento del premier ai ‘giovani con machete’ suona come una vera e propria provocazione, visto che gli attivisti dell’opposizione e la stampa turca da giorni denunciano la crescita di aggressioni contro manifestanti e giornalisti da parte di uomini in borghese armati di machete o di mazze da baseball, in alcuni casi membri del partito governativo e in altri esponenti dei servizi di sicurezza. Vere e proprie squadracce dedite ad affiancare i reparti antisommossa durante la repressione delle manifestazioni di piazza o ad aggredire fisicamente ed intimidire gli attivisti durante le assemblee convocate dai comitati locali di ‘Taksim Solidarietà’ nei diversi quartieri e parchi della città. E’ ad una di queste squadracce che si deve la morte di uno studente diciannovenne, Ali Ismail Korkmaz, morto mercoledì dopo più di un mese di coma causato dal pestaggio al quale era stato sottoposto all’inizio di giugno durante una manifestazione antigovernativa a Eskisehir, nel sud della Turchia. Un testimone ha raccontato l’agguato e il pestaggio, denunciando la complicita’ fra agenti in uniforme e aggressori. ”E’ stato gettato a terra, colpito più volte alla testa, al torace, sulla schiena, ha perso coscienza”. Il quotidiano di sinistra Radikal pubblica sul proprio sito alcuni video di diversi pestaggi. Ma 18 minuti delle registrazioni delle telecamere di sicurezza della strada in cui é stato mortalmente picchiato Korkmaz sono ‘inspiegabilmente’ scomparsi. Aggressioni simili contro i dimostranti sono state segnalate anche ad Ankara, Istanbul, Smirne, Antiochia.
Da parte sua la famiglia del giovane manifestante Ethem Sarisuluk, ucciso ad Ankara da un colpo alla testa sparato a bruciapelo da un agente durante le proteste del primo giugno, ha denunciato di avere subito minacce da parte della polizia per avere chiesto che la giustizia punisca il colpevole. Secondo la stessa stampa turca – sottoposta ad una rigida censura – il comando della polizia di Ankara ha tardato settimane a comunicare alla procura il nome dell’agente responsabile dell’uccisione di Sarisuluk, un operaio alawita di 26 anni. Un giudice di Ankara ha poi deciso di lasciarlo a piede libero considerando che avrebbe agito per ‘auto-difesa’. Le immagini dell’episodio diffuse da Halk Tv mostrano che l’agente ha prima preso a calci un manifestante poi ha estratto la pistola e esploso almeno tre colpi, mentre Sarisuluk crollava a terra. La decisione del magistrato ha suscitato indignate proteste di manifestanti anti-governativi e stampa di opposizione, che hanno denunciato la ‘impunita” garantita ai poliziotti responsabili della feroce repressione delle manifestazioni delle ultime settimane. Secondo la stampa la polizia ha addirittura arrestato un manifestante testimone dell’omicidio. La famiglia di Sarisuluk si é costituita parte civile e il fratello e la nuora del giovane ucciso hanno riferito, scrive Hurriyet, che la polizia ha perquisito le abitazioni di diversi membri della famiglia, a scopo puramente intimidatorio. Gli agenti hanno fra l’altro detto a una zia di Mustafa Sarisuluk di avvertirlo che “lo arresteremo non appena lo troviamo, perché parla troppo”.
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