L’altroieri giornata di sciopero per i medici brasiliani, realizzato in tredici stati e che ha visto incrociare la braccia per 24 ore il personale degli ospedali delle grandi città. L’adesione, sostengono i sindacati che han promosso lo sciopero è alta, in una media tra gli stati circa il 70%.
Le motivazioni di questo sciopero sono da riscontrare nell’approvazione della “Lei do Ato Médico”, sulla quale il governo della presidenta Dilma Russeff ha posto il veto sulle principali richieste dei medici, e sul programma di integrazione del Sistema Sanitario Unico (SUS), cioè quello pubblico, chiamata Mais Médicos.
La Lei do Ato Médico, in discussione da 11 anni, riguarda la regolamentazione a livello nazionale dell’attività dei medici. Il veto è stato posto sulla richiesta di introdurre nel sistema sanitario l’obbligo del rilascio di un autorizzazione da parte di un medico per qualsiasi trattamento sanitario di un paziente anche, quindi, per la cura e la diagnostica di malattie molto comuni o per trattamenti ortopedici e fisioterapici fino ad ora trattati da personale specifico e competente. Un veto che ha fatto arrabbiare molto la categoria dei medici che spingevano a favore di questo ampliamento di poteri.
L’altra grande motivazione che ha fatto scioperare la categoria dei medici è il programma Mais Médicos creato dal governo per colmare la carenza di medici nel paese, soprattutto nelle aree più disagiate. Il Brasile infatti ha una media di 1,8 medici ogni mille persone, contro una media Argentina di 3,2 o Uruguaiana di 3,7, con una distribuzione territoriale che supera i 2,4 nelle grandi città e rimane nettamente sotto l’ 1 nelle zone rurali. A queste carenze il programma del governo vuole rispondere temporaneamente, vista l’insufficienza di personale formato brasiliano per i prossimi anni, aprendo 35 mila posti di lavoro per medici Brasiliani e stranieri, di pochi mesi fa la notizia della richiesta di medici Cubani, all’interno del SUS, atti alla creazione di centri di salute basica (UBS) e unità di emergenza (UPAs) all’interno delle zone con maggiore carenza oltre che rendere obbligatorio nel percorso di formazione medico di qualsiasi università, due anni di servizio all’interno delle strutture pubbliche.
Lo slogan della protesta, “il problema non è la mancanza di medici, ma la mancanza di investimenti”, mostra il carattere corporativista della protesta, che teme l’inserimento del mercato del lavoro di nuovi medici e la riduzione della propria egemonia, denunciando per la prima volta in modo strumentale una carenza di fondi e strutture effettiva ma su cui prima di ora non si erano mai espressi. Una carenza per cui il governo ha investito 7,4 miliardi di euro negli anni scorsi e prevede 5,5 miliardi entro il 2014.
I medici promettono per il prossimo periodo nuove mobilitazioni contro il governo.
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