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Tunisia: continua la rivolta anti islamista

Decine di migliaia di dimostranti vicini ai partiti dell’opposizione di sinistra hanno partecipato questa notte ad una manifestazione convocata davanti alla sede dell’Assemblea nazionale costituente sulla piazza del Bardo, nei quartieri occidentali di Tunisi.

Nella tarda serata al presidio permanente presso l’Anc si sono aggiunti centinaia di giovani provenienti dal quartiere di Melassine, uno dei più poveri della capitale, che hanno denunciato le crescenti diseguaglianze sociali e chiesto il rispetto del diritto al lavoro.

A quattro giorni dall’uccisione di Mohamed Brahmi, deputato del Movimento popolare ed esponente del Fronte Popolare, non si placa la rivolta contro il regime islamista di Ennahda.

Durante la notte in strada a Tunisie c’erano anche alcune centinaia di militanti dei partiti islamisti mobilitati a sostegno del governo, scesi in piazza al grido di ‘comunisti assassini’ e di ‘la Tunisia è islamista e non capitolerà’. Più volte si è rischiato lo scontro fisico con i manifestanti delle opposizioni nonostante barriere metalliche e cordoni di polizia li tenessero lontani. I partiti di sinistra e molti di quelli laici – tranne i due di centro che fanno parte della maggioranza che sostiene Ennahda – continuano a chiedere con forza le dimissioni del governo, il varo di un governo di ‘salvezza nazionale’, lo scioglimento dell’Assemblea Costitutente e nuove elezioni entro pochi mesi.

I famigliari di Brahmi e le forze politiche di opposizione – tra cui il Fronte di salvezza nazionale della Tunisia rifondato su iniziativa del Fronte Popolare – ritengono che il partito al potere sia responsabile della morte del leader, ucciso giovedì scorso nei pressi del suo domicilio con 14 colpi d’arma da fuoco, così come dell’assassinio a febbraio del numero due dell’alleanza dei partiti di sinistra, Chokri Belaid. Naturalmente i sostenitori del governo sono mobilitati per difenderne la legittimità e respingere le accuse di aver coperto gli autori degli omicidi politici che insanguinano il paese dopo la caduta della dittatura di Ben Ali nel 2011.

Dopo la morte di Brahmi, i dirigenti dell’esecutivo hanno accusato i salafiti di Ansar al-Sharia, un piccolo gruppo estremista che però ha negato ogni coinvolgimento ed anzi ha condannato “l’assassinio politico, parte dei tentativi di gettare il Paese nel caos”.

Sabato scorso i funerali di Brahmi si sono trasformati in una grande manifestazione popolare che si è diretta verso la sede dell’Assemblea Costituente, attaccata dalla polizia con manganelli e lacrimogeni. Molti i feriti, tra cui un parlamentare di sinistra ferito alla testa.

Nella giornata di oggi, dopo l’iftar – il pasto serale che pone fine al digiuno diurno previsto dal Ramadan – sono previste nuove manifestazioni contrapposte mentre le istituzioni del paese sono paralizzate, in particolare la Costituente, bloccata dall’autosospensione dai lavori parlamentari di circa 70 deputati – su un totale di 217 – eletti nei partiti laici e di sinistra. In teoria entro la fine di agosto la Costituente deve approvare il testo della nuova legge fondamentale, passaggio obbligatorio per indire nuove elezioni. Ma è assai difficile che riesca a portare a casa l’obiettivo, vista la profonda spaccatura tra gli opposti schieramenti e l’aspra polemica sul tentativo da parte di Ennahda e degli altri partiti islamisti di imporre alcuni elementi della sharia nella nuova Costituzione. Lo stallo politico sta letterlmante portando alla disintegrazione di uno dei partiti laici che sostiene il governo: l’ultimo a lasciare il Congresso per la Repubblica è stato oggi Hedi Ben Abbes, consigliere del presidente tunisino Moncef Marzouki, come già molti deputati e dirigenti prima di lui. Ieri invece si era dimesso il potente ministro dell’Istruzione, Salem Labiadh.

In molte città della Tunisia il fine settimana è stato caratterizzato da duri scontri e arresti, in particolare a Sfax, Sousse, Jendoba e Sidi Bouzid i manifestanti hanno eretto barricate e in alcuni casi sono tornati ad assaltare le sedi di Ennahda. In alcuni casi i plotoni di polizia in assetto antisommossa hanno cercato di punire la popolazione – come già facevano ai tempi della dittatura di Ben Alì – sabotando l’erogazione di acqua ed elettricità ad alcuni quartieri considerati particolarmente ribelli.

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