E’ iniziata appena dopo mezzogiorno la lettura della lunghissima sentenza che oggi chiude un processo durato anni, iniziato nel 2009 contro centinaia di membri delle forze armate, giornalisti, esponenti politici e altre personalità, tutti accusati di far parte di una rete clandestina e parallela alle istituzioni ufficiali, denominata ‘Ergenekon’. Una struttura formata da esponenti degli ambienti nazionalisti laici che avrebbe avuto lo scopo di realizzare un colpo di stato per disarcionare dal potere l’Akp guidato dal premier Recep Tayyip Erdogan. Alla fine nell’inchiesta sono rimasti, in qualità di accusati, un totale di 275 imputati, compresi alcuni magistrati e docenti universitari, anche loro in odore di complotto.
Ad ascoltare la sentenza emessa oggi dai giudici del tribunale di Silivri, la cui lettura è durata ore, le tesi dell’accusa sono state sostanzialmente accolte. A partire dalla condanna all’ergastolo del generale Ilker Basbug, ex capo di stato maggiore dell’esercito turco, accusato di essere uno dei capofila del progetto golpista, e del generale in pensione Veli Kucuk; carcere a vita anche per il colonnello in pensione Fikri Karadag e per i generali in pensione Hasan Ataman Yildirim e Hursit Tolon; 47 anni la pena per l’ex colonnello Arif Dogan e 49 per l’ex colonnello Mustafa Donmez.
Dure condanne sono state inflitte anche ad altri avversari del premier Erdogan sul fronte politico: il parlamentare del Partito Repubblicano del Popolo (CHP), Mehmet Haberal, è stato condannato a 12 anni e 6 mesi; 13 anni e sei mesi sono toccati al suo collega di partito e deputato Sinan Aygün; ben 34 anni e otto mesi al giornalista e anche lui parlamentare dell’opposizione laica Mustafa Balbay. Il giornalista Tuncay Ozkan è stato condannato addirittura all’ergastolo così come l’avvocato Kemal Kerincsiz. Lo scrittore Yalcin Kucuk é stato condannato a 22 anni e sei mesi di carcere; l’ex presidente del Consiglio Superiore per l’Istruzione (Yok) Kemal Guruz a 13 anni e 11 mesi, lo storico Mehmet Perincek a sei anni, il giornalista Erol Manisali a nove anni, l’autore Ergun Poyraz a 29 anni e quattro mesi, mentre il giornalista Guler Komurcu a sette anni e sei mesi. Dieci anni di carcere é la pena inflitta agli ex rettori Ferit Bernay e Mustafa Abbas. L’ex capo della polizia Adil Serdar Sacan é stato condannato a 14 anni di carcere, l’ex sindaco di Istanbul Gurbuz Capan a uno.
Una incredibile condanna a 117 anni di reclusione è stata inflitta invece al leader del Partito dei lavoratori (sinistra marxista e ultranazionalista) Dogu Perincek. Sono stati invece prosciolti del tutto dalle accuse, riportano le agenzie di stampa, 21 imputati.
Quello che si è chiuso oggi é in realtà il secondo grande processo celebrato contro i vertici delle forze armate da quando gli islamisti sono saliti al potere. In primo grado, al processo Balyoz, anche in quel caso per un presunto progetto di golpe, circa 300 ufficiali sono stati condannati a pene detentive fino a 30 anni.
In entrambi i processi i militari sono stati accusati di aver manipolato i media e di aver organizzato attentati e omicidi politici negli anni scorsi per creare un clima politico favorevole a un intervento dell’esercito che fosse così considerato con benevolenza dalla popolazione. Le indagini su Ergenekon, un nome ispirato a quello della patria ancestrale del popolo turco nei Monti Altai, sono partite il 12 luglio 2007 dopo la scoperta da parte della polizia di un deposito di armi segreto in una baraccopoli nel quartiere di Umraniye a Istanbul. La casa dove sono state trovate 27 bombe a mano era di proprietà del sergente in pensione Oktay Yildirim. L’uomo è stato arrestato due settimane dopo insieme a leader religiosi, avvocati e giornalisti. Dal 2007 in poi gli arresti sono aumentati in maniera esponenziale, secondo gli avvocati della difesa sono state 588 le persone fermate durante le indagini, molti dei quali hanno atteso il giorno della verità agli arresti in carcere o ai domiciliari.
A 6 anni dall’inizio delle indagini, i giudici del Tribunale di Istanbul hanno dato sostanzialmente dato ragione all’Akp che dopo aver decapitato l’esercito e piazzato nei ruoli chiave uomini vicini al partito liberal-islamista ottiene ora anche un riconoscimento giudiziario della propria tesi seconda la quale militari e altri settori legati alla tradizione kemalista all’interno della stampa, della magistratura e della politica tramavano nell’ombra per estromettere il partito scelto dagli elettori per governare il paese. Una tesi non peregrina, visto il passato golpista dell’esercito turco, che per ben 4 volte, dagli anni ’60 in poi, ha eliminato con la forza o con le minacce governi in carica. Ma che sembra stata costruita su alcuni elementi di realtà e poi amplificata e trasformata in una vera e propria caccia alle streghe che ha permesso a Erdogan e all’Akp di eliminare dalla scena o ridimensionare fortemente i suoi competitori nei gangli chiave della struttura statale turca.
Il processo contro ‘Ergenekon’, ed ora a maggior ragione la dura sentenza, ha spaccato un paese già fortemente polarizzato. Da una parte i sostenitori di Erdogan e gli ambienti “liberali” che considerano l’arresto dei militari e dei loro complici un passo avanti necessario e legittimo per ridurre il ruolo delle forze armate e avanzare in un presunto processo di democratizzazione, dall’altra i sostenitori del campo kemalista, l’ideologia nazionalista e laicista ispirata agli insegnamenti del “padre della patria” Mustafa Kemal Ataturk, che accusano i giudici di aver usato il processo Ergenekon per ordinare l’arresto di centinaia di oppositori del governo. Oggi “verrà pronunciata una sentenza già scritta 5 anni fa” titolava in prima pagina stamattina Cumhuriyet, quotidiano vicino al Partito repubblicano del popolo. Di segno opposto invece, il commento del pro-governativo Yeni Safak: “In questo paese si chiede conto dei golpe, a livello d’immagine verrà dato un messaggio importante. La Turchia dice basta a chi vuole rovesciare governi democraticamente eletti con metodi illegali” ha scritto in un editoriale il giornalista Cem Kucuk.
L’Unione dei giovani di Turchia (Tgb), l’organizzazione giovanile del Partito dei lavoratori, ed altre organizzazioni hanno convocato per questa mattina davanti alla Corte una manifestazione a favore degli “eroi di Ergenekon”, ma da ieri pomeriggio il Tribunale di Silivri, un paese a circa 80 chilometri dal centro di Istanbul, era completamente blindato da centinaia di agenti coadiuvati da mezzi blindati. Ieri il prefetto di Istanbul, Avni Mutlu aveva annunciato, infatti, che qualsiasi manifestazione nel raggio di 500 metri attorno al palazzo di giustizia sarebbe stata repressa e che neanche ai familiari degli imputati sarebbe stato permesso di entrare in aula. Ed infatti i pullman dei manifestanti arrivati da varie città questa mattina sono stati dalla polizia che ha realizzato dei posti di blocco sull’autostrada contigua e poi l’ha addirittura chiusa al traffico.
Ma consistenti gruppi di militanti dell’opposizione muniti di bandiere turche con il volto di Ataturk sono riusciti ad avvicinarsi al tribunale passando per i campi. A quel punto gli agenti della Gendarmeria in assetto antisommossa sono intervenuti con dure cariche, il lancio dei gas lacrimogeni e l’uso dei proiettili di gomma e degli idranti per disperdere i circa diecimila dimostranti che tentavano di irrompere nell’aula. Molti i feriti e i fermati.
Altre manifestazioni sono state convocate per oggi a Istanbul – a Kadikoy alle 18 – ed in altre città dall’Unione della Gioventù Turca e da altre realtà politiche nazionaliste.
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