Erdogan incassa la decapitazione dei militari e dei notabili kemalisti. Ma i condannati non sono eroi, e non è detto che dopo aver vinto la battaglia il ‘sultano’ vinca anche la guerra.
Ieri, con una sentenza più che attesa, la magistratura turca non ha fatto sconti al gruppo di militari – tra cui l’ex capo di Stato maggiore Ilker Basbug – accusati insieme a giornalisti, avvocati, politici, sindacalisti e giudici di aver complottato per condurre attacchi di alto profilo e omicidi politici volti ad alimentare il caos per rendere accettabile alla popolazione un colpo di Stato militare e togliere così di mezzo gli islamisti dell’Akp, dal 2002 padroni del paese in sostituzione della vecchia classe dirigente ‘kemalista’, cioè nazionalista e laicista.
L’opposizione parlamentare – in particolare i repubblicani del Chp – è insorta e parla di sentenze scandalose, accusando il premier Recep Tayyip Erdogan di caccia alle streghe, mentre duri scontri sono scoppiati – e sono durati a lungo – tra dimostranti e polizia al di fuori del tribunale di Silivri, blindato già dalla vigilia. Poi in serata scontri sono scoppiati anche nel principale quartiere asiatico di Istanbul, Kadikoy, dove la polizia è intervenuta contro migliaia di manifestanti che protestavano contro “la sentenza politica”.
Una quindicina in tutto gli ergastoli inflitti dai giudici della corte speciale di Silivri, vicino a Istanbul: tra i nomi eccellenti l’ex generale Basbug, 70 anni, fino al 2010 capo di stato maggiore turco e per anni alla guida delle campagne militari contro i curdi nelle regioni anatoliche. “Ho la coscienza pulita e sono dalla parte della verita’”, ha scritto Basbug sul suo profilo twitter dopo essere stato condannato. Carcere a vita anche a Hursit Tolon, ex capo dell’esercito e al giornalista Tuncay Ozkan che secondo l’accusa nel 2007 contribuì a organizzare proteste anti-governative. Il noto giornalista del quotidiano di centrosinistra Cumhuriyet Mustafa Balbay, eletto in parlamento durante la sua prigionia nelle liste dei kemalisti del Chp, é stato condannato a 34 anni di prigione. Diversi anni di prigione anche ad altri alti ufficiali, mentre è stata ordinata la liberazione e la caduta di tutte le accuse solo di 21 imputati.
“Ergenekon” è il secondo grande processo celebrato contro i vertici delle forze armate, che per anni dopo l’arrivo al potere nel 2002 del partito islamico Akp di Erdogan hanno cercato di contrastarne l’influenza, con le buone e con le cattive. In primo grado, al processo Balyoz, pure per un presunto progetto di golpe, circa 300 ufficiali furono condannati a pene detentive fino a 30 anni.
La sentenza di ieri chiude il cerchio di un braccio di ferro iniziato molti anni fa, prima ancora che i liberal-islamisti si impossessassero del potere. Dall’indubbio carattere politico, ‘Ergenekon’ permette all’Akp e ad Erdogan in particolare di fare piazza pulita nei confronti degli oppositori – o meglio dei competitori – dell’attuale classe dirigente, colpendo però settori politici e dell’establishment assai più ampi di quelli tradizionalmente interni alle strutture di potere basate sui militari e sul cosiddetto ‘stato profondo’, che da sempre ha governato la Turchia al di là delle maggioranze parlamentari e dei governi di diverso colore politico. Il vizietto dei militari turchi per il colpo di stato e l’uso spregiudicato della violenza politica pare per ora essersi ritorto contro quegli ambienti che hanno teorizzato – e solo in parte – complotti contro il governo islamista, ma non è detto che la indubbia vittoria di Erdogan abbia effetti definitivi su un quadro politico e sociale spaccato esattamente a metà e in rapido movimento.
Si chiede giustamente Alberto Negri su Il Sole 24 Ore di oggi: “E’ il tramonto dei generali, i pasha della Repubblica fondata da Kemal Ataturk, oppure un altro capitolo della lotta tra Erdogan e i suoi oppositori? La condanna all’ergastolo per cospirazione dell’ex capo di stato maggiore Ilker Basbug non è un temporale estivo ma una sentenza esplosiva: i militari sono sempre stati ritenuti i custodi dello Stato laico, una casta di intoccabili, protagonisti con tre golpe della vita politica (1960, 1971, 1980) che hanno condizionato con i loro pronunciamenti tutti i governi turchi. Nel 1997, facendo semplicemente passeggiare i blindati alla periferia di Ankara, determinarono la caduta del primo ministro islamico Necmettin Erbakan, il méntore di Erdogan”. Ricorda correttamente Negri che “la corte (…) ha dovuto affondare le sue indagini nello “Stato profondo”, il Derin Devlet, in quell’intreccio misterioso e segreto tra ex alti ufficiali delle forze armate, polizia, servizi deviati, ultranazionalisti e criminalità, che ha intorbidato la vita turca per decenni”. In Turchia una parte dell’opinione pubblica anti-islamista tende emotivamente a considerare i condannati del processo Ergenekon per lo più “eroi caduti vittima del fascismo dell’Akp”, non riuscendo così a sfuggire ad una dicotomia – generali ed establishment ultra- nazionalista da un lato, regime autoritario liberal-islamista dall’altro – al quale occorrerebbe invece contrapporre un’alternativa globale. Fa bene a ricordare Negri che tra coloro che sono stati condannati ieri dalla corte speciale di Silivri figura un certo “colonnello in pensione Firkrit Karadag, uno dei capi dell’eversione ultranazionalista che si proponeva di punire 13.500 ‘traditori della patria’. Karadag con altri militari avrebbe partecipato a un progetto di colpo di stato nel 2009. Il golpe doveva essere preceduto da una serie di attacchi a personalità celebri, tra cui lo scrittore e premio Nobel Ohran Pamuk. La sentenza all’ergastolo per Basbug, giudicato colpevole per il cosiddetto “memorandum di Internet” – un documento dello stato maggiore che ordinava di creare 42 siti web contro il partito Akp – era stata preceduta nel gennaio 2012 dall’arresto dell’ex capo di maggiore, condannato poi in un altro processo per un tentato golpe nel 2003”. I piani golpisti alla base dell’inchiesta e delle condanne la corte non se li è inventati, e pur negando le accuse i militari finiti nel mirino della magistratura ammettono di averli redatti, ma “solo con finalità di addestramento” (!).
Ma paradossalmente la storica e altamente simbolica condanna dei generali nazionalisti e dei rappresentanti dello ‘stato profondo’ è arrivata nel momento in cui Erdogan è fortemente indebolito. Sul fronte interno dalle manifestazioni antigovernative che non cessano e potrebbero di nuovo prendere forza in autunno; e sul fronte internazionale, con l’apparente fallimento della strategia erdoganiana di destabilizzazione della Siria e di disinnesco del conflitto con i curdi, che conquistano ora posizioni nel paese scosso dalla guerra civile e potrebbero presto tornare alla lotta armata anche in Turchia. Commenta maliziosamente Negri: “Certo lo spirito kemalista dei “pasha della repubblica” non è stato scalfito: se Erdogan avesse bisogno delle forze armate, oltre che in Kurdistan magari ai confini della Siria, forse i generali oggi non sarebbero così entusiasti di aderire agli ordini del loro primo ministro”.
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