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La Catalogna reclama l’indipendenza

Un successo inequivocabile e senza precedenti. La Diada, la festa nazionale catalana di ieri, ha portato in piazza per l’ennesima volta molte centinaia di migliaia di persone, confermando una voglia di indipendenza trasversale che va dal centro-destra fino all’estrema sinistra. Un milione e seicentomila i partecipanti, secondo le autorità locali, i participanti a quella che senza dubbio è stata la più massiccia ‘catena umana’ che l’Europa abbia mai visto, lunga ben 400 chilometri, che si è snodata da El Pertùs (nei territori catalani sotto amministrazione francese) fino ad Alcanar. Una catena umana che nelle città, e in particolare a Barcellona, ha preso la forma di enormi manifestazioni di popolo a favore dell’autodeterminazione. Potendo contare anche su decine di manifestazioni convocate in contemporanea dai catalani in decine di città europee e di altri continenti e sulla mobilitazione della sinistra basca, scesa in strada un po’ più a nord a sostegno di una richiesta con cui si identifica. D’altronde, tra le decine di migliaia di senyeras e di esteladas – a strisce gialle e rosse o con una stella bianca in campo blu nella versione indipendentista – campeggiavano nelle città catalane numerose ikurriñe, i vessilli baschi bianchi, rossi e verdi.

 

Una dimostrazione di forza e di capacità di mobilitazione, per il secondo anno consecutivo, del fronte indipendentista che smentisce la trita propaganda di un nazionalismo spagnolo che dall’inizio della crisi e dall’ascesa al potere del Partito Popolare mostra di nuovo gli artigli e mira al muro contro muro.

Gli organizzatori dell’Assemblea Nazionale Catalana hanno di nuovo dimostrato che le loro richieste – referendum subito, riconoscimento dei diritti nazionali da parte di Madrid e devoluzione dei poteri – ha un’ampia base di consenso sociale capace di mobilitare una gran massa di cittadini e cittadine con opinioni politiche anche molto diverse. In piazza c’erano dirigenti e parlamentari della Cdc (il settore più indipendentista di Convengenca i Uniò), quelli di ERC (Sinistra repubblicana) e di ICV-EuiA (sinistra ecosocialista e postcomunista), e anche alcuni socialisti, alcuni dei quali hanno recentemente abbandonato il partito per fondare ‘Nuova Sinistra Catalana’ (tra questi Pasqual Maragall, popolarissimo ex sindaco di Barcellona ed ex governatore).

Gli organizzatori del megaevento – ribattezzato per l’occasione Via Catalana – hanno ribadito che non vogliono aspettare il 2016 per permettere ai cittadini di esprimersi in un eventuale consultazione popolare, come fissato dal capo del governo regionale, il liberal-regionalista Artur Mas, ma che il referendum va fatto subito, in contemporanea con quello che permetterà ai cittadini scozzesi di dire sì, il prossimo anno, al distacco da Londra. Ed hanno insistito sul fatto che il quesito da sottoporre ai catalani debba essere chiaro e secco: indipendenza o status quo. I regionalisti di centrodestra di Mas e i ‘federalisti’ del Partito Socialista Catalano – costola del Psoe in relativa rottura con la dirigenza spagnola – vorrebbero inserire delle vie di mezzo invise al fronte indipendentista. Che negli ultimi giorni ha incassato i risultati di un sondaggio – commissionato dalla socialista Cadena Ser all’Osservatorio di MyWord – secondo il quale ben l’80,5% dei catalani vuole  un referendum sull’autodeterminazione – quindi anche gli elettori socialisti e di Convergenca i Uniò – mentre per la prima volta il numero di ‘si’ al distacco da Madrid è maggioranza assoluta con un 52%, contrapposto ad un esiguo 24% di contrari e con un 20% di indecisi. Inoltre Il 59,7% degli intervistati sarebbe a favore della convocazione della consultazione popolare anche nel caso in cui questa dovesse essere considerata incostituzionale dal governo spagnolo.

Ora i portavoce dell’Assemblea Nazionale Catalana chiedono alle autorità regionali e a quelle statali di riconoscere il grido che viene dalla società catalana e di tramutare le richieste in atti concreti. Rapidamente. “Abbiamo bisogno di uno stato che ci difenda. Chiediamo alle istituzioni di applicare la dichiarazione di sovranità” hanno tuonato i rappresentanti del fronte indipendentista a proposito del documento approvato alcuni mesi fa dal Parlamento catalano.

 

Dentro il fronte catalanista però le differenze non mancano. Accanto ai settori borghesi e liberali ci sono settori indipendentisti che si dichiarano apertamente anticapitalisti. Quelli della CUP, entrati per la prima volta nel Parlament alle ultime elezioni con 3 rappresentanti. E altre formazioni e soggettività che assieme alla liberazione nazionale perseguono anche un altro modello sociale, a partire dalla contestazione della gestione autoritaria e antipopolare della crisi economica internazionale. Una gestione che, sul fronte ideologico e delle politiche economiche, rompe il fronte nazionale e schiera la borghesia catalanista al fianco delle classi dirigenti spagnole.
Proprio ieri gli indipendentisti anticapitalisti hanno voluto dare un segnale forte. E così alle 17,14, orario prescelto per l’inizio della Via Catalana (l’11 settembre nel 1714 l’esercito spagnolo si impossessò di Barcellona), cinquemila persone hanno circondato e ‘assediato’ il palazzo sede de La Caixa, la banca ‘catalana’ presa di mira in questi anni da numerose mobilitazioni popolari. All’assedio ha partecipato anche Diego Cañamero, dirigente del Sindacato Andaluso dei Lavoratori (Sat) reduce da un esproprio proletario di materiale scolastico in un supermercato del sud della Spagna.
I partecipanti hanno gridato slogan contro i tagli alla sanità e alla cultura operati dal governo regionale guidato dall’odiato Artur Mas, e contro la repressione delle lotte sociali che rende la polizia autonoma, i Mossos, uno dei corpi di sicurezza più brutali e violenti di tutto lo Stato. Assai chiaro il messaggio di fondo: “non vogliamo l’indipendenza affinché tutto continui come prima”.

A dimostrazione che la lotta di liberazione nazionale catalana, come quella basca, ha un versante sociale e anticapitalista da non sottovalutare e che i movimenti radicali di Madrid o del resto dello stato non fanno alcuna fatica a riconoscere. Tutti i sondaggi indicano da mesi che se si rivotasse il Parlamento Catalano si sposterebbe nettamente a sinistra, raddoppiando quasi i seggi dei moderati di ERC e quelli degli anticapitalisti della Cup, a spese dei partiti spagnolisti e del fronte regionalista espressione della borghesia di Barcellona.

Con buona pace della ‘sinistra’ spagnolista e di qualche benpensante italiano – vedi “il Manifesto” – che continua ad accostare le vicende del movimento catalano a quelle del Carroccio.

 

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