Non ci sta Parigi a rimandare un attacco alla Siria che caldeggia anche più convintamente di Washington. L’iniziativa diplomatica di Mosca e il temporaneo stop di Washington rispetto ai preparativi militari sembrano aver indispettito assai il governo Hollande-Ayrault. Che ora tenta di mettere i bastoni tra le ruote alla Russia e alla Cina, tentando di imporre all’Onu l’approvazione di una risoluzione vincolante, appoggiata anche da USA e Gran Bretagna, che citi ‘la necessità di una risposta militare’ della cosiddetta comunità internazionale nel momento in cui Damasco non dovesse rispettare gli ultimatum imposti non si capisce con quale autorità dal governo socialista o dai suoi alleati-competitori di Washigton.
Il modello sembra essere quello sperimentato alla fine degli anni ’90 nella Ex Jugoslavia. Quando in un contesto di teorico negoziato alcune potenze occidentali imposero al governo della Jugoslavia prima e della federazione Serbo-Montenegrina poi degli ultimatum surreali, impossibili da rispettare. In modo che la ‘violazione’ dei diktat – anche in quei casi di natura formalmente umanitaria o legati allo smantellamento degli arsenali – concedesse alla Nato un meccanismo giuridico e una giustificazione davanti alle opinioni pubbliche per poter dare il via ai bombardamenti e all’invasione. Il ‘trattato di Rambouillet’ da questo punto di vista fu un capolavoro di ipocrisia che spianò la strada ad una tragedia i cui effetti sono ancora visibili nei Balcani.
Ora i dirigenti del Partito Socialista (!) Francese sembrano seguire lo stesso schema. Se Mosca è riuscita a stoppare missili e bombardieri in nome dell’accordo sulla consegna degli arsenali chimici o non convenzionali in mani siriane alla comunità internazionale, Parigi pretende ora di imporre un tempo limite di soli 15 giorni. Lasciando così aperta la strada per una aggressione militare che torna nel novero delle opzioni a disposizione di alcune potenze occidentali.
Da parte sua la Russia sembra aver capito l’antifona ed ha accelerato la propria iniziativa diplomatica a tutto campo per disinnescare l’argomento ‘armi chimiche’ finora utilizzato dalla propaganda interventista così come lo furono i profughi ai tempi del Kosovo o le armi di distruzione di massa ai tempi dell’Irak.
Mosca ha consegnato nei giorni scorsi agli Stati Uniti il piano per la cessione delle armi chimiche siriane alla comunità internazionale. Il piano, rivelato dal quotidiano russo Kommersant, prevede come primo passo l’ingresso della Siria nell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac). In seguito, la Siria dovrebbe dichiarare la localizzazione delle armi chimiche e dove sono state prodotte. Il terzo passaggio sarebbe l’ingresso degli ispettori dell’Opac a Damasco per esaminare l’effettivo stato delle armi. Il quarto e decisivo passaggio sarebbe la scelta, in collaborazione con gli ispettori, su come distruggere le armi. Secondo il Kommersant, ”il piano non specifica chi dovrebbe distruggere le armi”, anche se non è escluso che ”gli Stati Uniti e la Russia lo facciano insieme”. Intanto, pare che l’atteso rapporto degli ispettori dell’Onu sarà ”probabilmente” reso noto nella giornata di lunedì”, almeno così ha detto il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius.
Sulla vicenda è intervenuto personalmente Vladimir Putin in un editoriale pubblicato oggi dal quotidiano New York Times. Nel quale il presidente ha esplicitamente scritto che un’aggressione alla Siria potrebbe scatenare il caos e comunque verrebbe considerata da Mosca come un’aggressione alla Russia. Putin avverte che se davvero gli Stati Uniti attaccheranno Damasco senza il mandato del Consiglio di Sicurezza, ciò ”distruggerebbe la credibilita’ dell’Onu”. Anche se non chiaramente, Putin richiama i rischi di una guerra mondiale: ”Nessuno vuole che le Nazioni Unite subiscano la sorte della Società delle Nazioni, collassata perché mancava di una reale leva di intervento”. E poi ancora: ”Un attacco aumenterebbe la violenza e scatenerebbe una nuova ondata di terrorismo”. Secondo Putin, l’attacco ”potrebbe minare gli sforzi multilaterali per risolvere il problema nucleare iraniano e il conflitto israelo-palestinese, oltre a destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente e il Nord Africa”. Per il presidente russo, in definitiva, l’attacco ”potrebbe mandare all’aria l’intero sistema di diritto e ordine internazionale”.
Il riferimento di Putin al ‘nucleare iraniano’ non sembra affatto casuale. A ricordare che l’aggressione alla Siria mira all’Iran è sul Sole 24 Ore di oggi Alberto Negri, secondo il quale lo scopo di un possibile attacco militare contro Damasco “è un messaggio agli ayatollah per far capire cosa li aspetta, dall’Occidente o da Israele, nel caso continuassero il programma nucleare di arricchimento dell’uranio”. La eventuale soluzione diplomatica di Mosca, dice giustamente Negri, “prolunga la vita a Bashar Assad e imbarazza gli alleati americani, dalla Turchia agli arabi del Golfo, che sulla partita siriana hanno puntato una posta altissima: smantellare la Mezzaluna sciita e iraniana in Medio Oriente, origine di tutta la vicenda”. Avvertendo implicitamente che una ‘punizione’ di Assad potrebbe scatenare, se non la guerra mondiale, comunque un conflitto vastissimo con il coinvolgimento dei curdi e degli alauiti, oltre che dei cristiani e degli sciiti anche in Turchia, Libano e Iraq.
A soffiare sul fuoco ci pensano, dopo la trovata di Parigi, i cosiddetti ‘ribelli’ siriani. L’Esercito Siriano Libero, coalizione di forze ribelli sempre più debole e infiltrato dalle organizzazioni jihadiste, ha fatto sapere di non accettare nessun tipo di mediazione. “L’Esercito siriano libero annuncia di respingere categoricamente l’iniziativa russa che prevede di collocare le armi chimiche sotto controllo internazionale” ha affermato uno dei capi militari dell’opposizione, il generale Selim Idriss, in un comunicato letto in un video postato su YouTube (!). Secondo quanto affermano fonti USA e arabe, nelle ultime settimane la Cia avrebbe implementato le forniture di armi e tecnologia militare ai ribelli. Se dovesse servire, una provocazione in grande stile potrebbe rendere ‘necessario’ l’intervento immediato delle grandi potenze.
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