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Accordo al Congresso Usa, ma i rischi sono nell’aria

Gli Usa evitano in extremis il default. A meno di due ore dal baratro economico, il Congresso americano ha approvato l’accordo con cui riaprirà oggi lo Stato federale e si innalza il tetto del debito. Oggi a Francoforte il consiglio dei governatori delle banche centrali Bce. Hanno annunciato il compromesso, intervenendo in Senato, il democratico Harry Reid e il repubblicano Mitch McConnell. “Basta scontri, sono pronto a lavorare con tutti”, ha commentato Obama, invitando gli eletti a “riguadagnare la fiducia del Paese”.

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All’ultimo secondo, come speravano i mercati. Ma non è più un gioco. L’innalzamento del tetto del debito pubblico, una procedura un po’ folle e tutta yankee di gestire il bilancio dello Stato federale, stavolta ha mostrato che nella classe politica statunitense si è fatta largo una componente “populista”, di destra completamente idiota, “fondamentalista cristiana” ma di cinquanta sette concorrenti diverse, che immagina di poter gestire l’iperpotenza in crisi come un paesucolo del west di due secoli fa. Con valori, regole, leggi, banalmente incompatibili con gli Stati Uniti reali.

E’ un vuoto crescente in quella che sembrava, sì, una classe politica “i prestito” dalle multinazionali o dalle banche di investimento, ma proprio per questo “responsabile” nel gestire la “cosa pubblica”. Al punto da potersi tranquillamente dire che democratici o repubblicani, “una faccia, una razza”. Nessuna differenza palpabile sul piano economico-sociale, piccole divergenze s questioni del resto ormai risolte come i “diritti civili”. Quelli che sono gratis e non cambiano di una virgola la disegualianza soiìciale feroce che è cresciuta negli ultimi 30 anni lì come anche in Europa.

Ma  si è creato un “baco” nel “bipartitismo perfetto” che tutti i politologi da quattro soldi che discettano sui media italiani ancora incensano come il non plus ultra della “politica responsabile”. Questo baco – quasi inevitabile in una democrazia parlamentare, per quanto strangolata da regile elettorali che non ammettono “terzi” concorrenti – è cresciuto come un tumore dentro il partito repubblicano. Fino a George Bush il giovane l’equilibrio era stato mantenuto. “Mettiamo un deficiente che sembri un integralista, un ex peccatore pentito va benissimo, e noi lo manovriamo come un pupazzo e andiamo avanti”.

Questo gioco è finito quando la forza dei Tea Party è cresciuta fino ad obbligare il classico esempio di “repubblicano resposabile e perbene” – l’ex eroe di guerra John McCain – a scegliersi come vice una marionetta canterina come Sarah Palin, Lì il Grand Old Party ha smesso di essere la riserva preferita dei wasp (white, alglo-saxon, protestant); o meglio, i wasp ricchi hanno scoperto di non essere più in grado di egemonizzare i bianchi poveri, quelli dispersi nelle praterie e nei piccoli paesi sperduti nel semicontintente Usa. Evangelici e sciamani improvvisati, telepredicatori e guaritori, venditori di elisir di lunga e felice vita nell’aldilà, hanno acquisito un peso sufficiente a detrminare il blocco effettivo della contrattazione tra le due storiche ali dell’establishment. Diverse ma uguali, in fondo.

Questo terzo soggetto, come si diceva, non ha alcun senso “politico” del ruolo degli Usa nel mondo. Supplisce a questa deficienza con un approccio religioso, che maschera interessi economici, certo, ma di non grandissimo respito globale. E’ l’America che si rinchiude in certezzze svanite, più che antiche. E che minaccia di essere, già ora e ancora di più tra qualche mese o pochi anni, il peggior nemico che l’America abbia mai avuto davanti. Se stessa.

Il resoconto della contrattazione nell’articolo di Mario Platero, da IlSole24 Ore.

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Usa, evitato il default: dopo il Senato anche la Camera approva l’intesa. Spaccati i repubblicani (87 sì e 144 no)

 

Mario Platero

WASHINGTON – Il tormentone è finito. Barack Obama e i democratici hanno vinto; il presidente della Camera John Boehner e i repubblicani hanno perso. Così, con l’estrema rapidità che caratterizza la mobilitazione politica americana nei momenti di difficoltà, dopo due settimane di braccio ferro si è risolta la serrata del Governo e si è rinnovato il tetto sul debito. Una soluzione temporanea: il bilancio è autorizzato fino al 15 gennaio il tetto sul debito fino al 7 febbraio. Nel frattempo si negozierà per il rinnovo del bilancio e il taglio di certe spese come ha promesso il presidente . Le posizioni restano molto lontane, ma l’auspicio è che non si ripeta una sceneggiata simile a quella degli ultimi due giorni.

 

Niente più insolvenza per l’America, come tutti avevano pronosticato, ieri notte, prima al Senato, poi alla Camera il compromesso raggiunto dal capo della maggioranza Harry Reid e da quello della minoranza repubblicana al Senato Mitch McCollen è stato votato a larga maggioranza: 81 a 18 al Senato e 285 a 144 alla Camera. Maggioranze schiaccianti, che hanno umiliato il partito repubblicano e il Tea Party, la corrente di destra che ha paralizzato il Governo americano seguendo un piano a tavolino che li ha portati alla sconfitta.

 

Anche perchè i repubblicani hanno forzato la chiusura del Governo per negoziare da un punto di forza, anzi, per “ricattare” gli avversari, ma alla fine sono stati costretti al ritirata senza ottenere nulla. Una disfatta.
«Siamo arrivati sull’orlo del disastro, ma lo abbiamo evitato», ha detto trionfante Harry Reid, l’anziano capo della maggioranza al Senato che ha navigato con grande perizia le acque della politica portando a casa un successo personale. Fair play in campo repubblicano, dove la sconfitta è stata ammessa dal presidente John Boehner: «Abbiamo combattuto la giusta battaglia, ma l’abbiamo persa. Abbiamo fatto il possibile per portare i democratici al tavolo dei negoziati ma ci hanno sempre risposto di no. Non c’è ragione a questo punto per votare contro». E così stato molti repubblicani hanno votato contro, ma la sua è stata una indicazione di voto a favore del progetto di legge varato dal Senato. C’e’ anche un volto molto preciso per questa sconfitta repubblicana: il volto nuovo e problematico della democrazia americana è quello di Michael Needham, un giovane di 31 anni che ha tenuto per settimane sotto scacco Washington e i mercati mondiali. È lui, capo della Heritage Action, a controllare dall’esterno, con FreedomWorks, il voto di 24 irriducibili teapartisti. È lui che ha formato un partito ombra “pesante” contro la tradizionale leggerezza dei due grandi partiti americani; che ha organizzato una resistenza dell’ultima ora contro un voto che doveva salvare l’America dal default. Alla fine è stato sconfitto. Con l’accordo al Senato, ha vinto la democrazia illuminata.

 

Ma dopo lo scampato pericolo di ieri, il problema politico americano resta. La “farsa”, come l’ha chiamata Warren Buffet è solo a fine primo tempo perchè le lancette della possibile insolvenza sono spostate in avanti, ai primi di febbraio. E una democrazia che rimanda invece di concludere, non rassicura. Per questo oggi sulla questione economica, sui costi dello “shutdown”, sui pericoli per un mercato che non ha mai perso i controllo dei nervi, prevale la questione politica: quanto è forte l’America se può cadere in ostaggio di una banda di irriducibili estremisti? La batosta di ieri dovrebbe aver impartito una lezione che sarà ricordata per molti anni. Ma c’è anche il costo economico in termini di occupazione, di rallentamento del Pil, di caduta di credibilità internazionale al momento di negoziare un accordo commerciale. E un costo finanziario con un aumento dei tassi di interesse. «Ora basta – ha detto Obama – abbiamo molto lavoro da fare, che questo imbarazzo non si ripeta a gennaio».

 

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