Alla fine ha avuto la meglio l’astensione, e chi non è andato a votare – per disinteresse o perché contrario – ha deciso che la piccola Repubblica di San Marino, incastonata tra Emilia e Marche, rimanga fuori da un’Unione Europea che non appare più come la panacea ditutti i mali come accadeva solo qualche anno fa. Sembrano assai lontani i tempi in cui l’Italia era al top delle classifiche continentali sul tasso di euro entusiasmo. Ma questo succedeva prima che la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea, insieme al Fondo Monetario internazionale, iniziassero a macinare diritti e salari, ad imporre sacrifici a senso unico, a commissariare i singoli governi in nome di un’austerity pagata solo dalle classi popolari.
A San Marino certo non hanno i problemi della Grecia o del Portogallo, ma l’idea di aderire all’UE non deve essere piaciuta molto se il tasso di partecipazione al referendum di ieri non ha raggiunto neanche un quorum bassissimo, il 32%, che rendesse validi i due quesiti sui quali sono stati chiamati ad esprimersi i cittadini residenti nella piccola enclave ed anche quelli residenti fuori.
Il referendum chiedeva un ‘sì’ o un ‘no’ all’avvio della procedura di adesione all’Unione europea e alla rivalutazione delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. Il boicottaggio del primo quesito purtroppo ha trascinato nel fallimento anche il secondo, probabilmente accoppiato all’altro come specchietto per le allodole.
Nel primo caso le preferenze, sulla base dei voti validi, si sono quasi equivalse: i ‘sì’ sono stati 6.733 (50,28%, 3.924 voti mancanti al quorum di 10.657), i ‘no 6.657 (49,72%). Più netti i risultati per il secondo quesito, chiamato ‘referendum salva stipendi‘: 10.025 ‘sì’ (73,12%, ne occorrevano altri 632 per raggiungere il quorum) e 3.685 ‘no’ (26,88%). I votanti – i seggi sono stati aperti dalle 7 alle 20 – sono stati 14.446, il 43,38% dei 33.303 iscritti: ha votato, nel dettaglio, il 62,86% dei sammarinesi ‘interni’ (13.847 su 22.029) e solo il 5,31% degli ‘esterì (599 su 11.274).
Durante un’accesa campagna elettorale a favore del ‘si’ si erano schierati il Partito Socialista, la Sinistra unita, l’Unione per la Repubblica; mentre per il “no” “Noi sanmarinesi” e il movimento “Rete”, insieme alla Lega Nord che pur non essendo presente nel panorama politico locale ha sguinzagliato il suo deputato Gianluca Pini. I democristiani, la principale forza politica della Repubblica, avevano di fatto evitato di prendere posizione.
La sinistra ha sbagliato di nuovo obiettivo e campo, ed è stata sconfitta, lasciando strumentalizzare alla destra la legittima campagna contro l’adesione ad un superstato controllato dagli interessi di una borghesia sempre più vorace e invadente. Complimenti!
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