Sono sempre più numerosi i gruppi dell’opposizione siriana che intendono boicottare la conferenza di pace fissata per il prossimo 23 novembre in Svizzera. In questi giorni si susseguono i messaggi bellicosi da parte delle milizie, in particolare quelle jihadiste e islamiste radicali, non solo nei confronti del governo di Damasco ma anche nei confronti di quei settori dell’opposizione disponibili a fare un passo indietro rispetto al lungo e sanguinoso scontro armato che ha distrutto il paese, provocato decine di migliaia di morti e milioni di profughi. In un video messaggio un portavoce delle Brigate Suqur al-Sham ha apertamente minacciato i gruppi dell’opposizione che si ‘macchieranno di alto tradimento’ partecipando all’attesa conferenza internazionale.
Almeno formalmente, Stati Uniti, Russia e altre grandi potenze stanno premendo sulle varie parti affinché le opposizioni accettino il dialogo con il regime. Ma già nelle scorse settimane numerosi altri gruppi si erano smarcati dalla cosiddetta Coalizione Nazionale Siriana, coacervo di gruppi che operano dall’estero e ritenuti lontani dalle presunte ‘aspirazioni rivoluzionarie’ del popolo siriano, formula che spesso copre una visione fondamentalista islamica e reazionaria dei rapporti sociali, politici ed economici. Nel frattempo, tramontata per ora l’ipotesi di un intervento militare diretto di Francia e Stati Uniti contro Damasco, tutte le parti in causa hanno accelerato le operazioni militari sul campo, nel tentativo di arrivare alla conferenza di fine novembre nella posizione più vantaggiosa possibile. Ieri le forze governative hanno riconquistato la cittadina cristiana di Sadad, nel nord del paese, dopo giorni di combattimenti con una milizia legata ad Al Qaeda. La rete jihadista sta tentando di dar vita ad un califfato islamico nel nord della Siria, arrestando chiunque si opponga, intimidendo gli imprenditori locali e ristrutturando aule di giustizia e scuole per farne istituzioni di un mini stato islamista. Lo scriveva nei giorni scorsi il quotidiano britannico The Times, denunciando che in particolare i miliziani dello “Stato islamico dell’Iraq e del Levante” (Isis) hanno rapito e imprigionato più di 60 persone nella città di Azaz, vicina al confine con la Turchia e conquistata il mese scorso.
Il protagonismo delle milizie islamiste sta provocando una rottura sempre più netta con i settori più moderati dell’opposizione. Tanto che ormai i ribelli non solo combattono contro le truppe regolari del governo di Assad, contro le milizie di autodifesa create dai curdi a nord e da cristiani e alauiti nel resto del paese, ma anche con altre milizie ribelli. La frammentazione del fronte dell’opposizione – sono almeno 30 i gruppi principali – e la crescente rissosità avvantaggiano evidentemente il governo siriano che conquista nuovi consensi nella lotta contro formazioni, molto spesso composte di combattenti stranieri, il cui scopo non è liberare la Siria dal regime degli Assad ma imporre una nuova dittatura fondamentalista e sunnita. D’altra parte l’Esercito Siriano Libero, il braccio armato della coalizione delle opposizioni riconosciute dalle grandi potenze che sostengono la destabilizzazione del paese, continua a perdere combattenti, armi e sostegno a vantaggio dei gruppi jihadisti sempre più forti e aggressivi. Nel tentativo di legittimare gli aiuti ricevuti dalle potenze occidentali e dalla Lega Araba, nei giorni scorsi la Coalizione Nazionale Siriana ha ribadito che sono almeno 100 mila i combattenti inquadrati nell’ESL. Ma i rapporti delle intelligence degli Stati Uniti e dei loro alleati tendono a ridimensionare sensibilmente questa cifra, a fronte di almeno 30 mila combattenti – provenienti in molti casi da Cecenia, Yemen, Afganistan, Pakistan, Nord Africa – inquadrati nelle milizie jihadiste. I due gruppi più radicali – l’ISIS e il Fronte Al Nusra – sono particolarmente forti nel nord della Siria, dove aumentano i combattimenti con le milizie di autodifesa curde – YPG – e dove si moltiplicano le manifestazioni di protesta da parte di alcuni settori della popolazione locale stanca del regime oscurantista imposto dai nuovi padroni salafiti. E gli analisti internazionali riportano sempre più spesso notizie, soprattutto in quest’area, di scontri tra le milizie legate ad Al Qaeda e alcune brigate inquadrate nell’Esercito Siriano Libero. Sull’altro fronte operano alcune decine di migliaia di combattenti provenienti dal Libano, dall’Iran e dall’Iraq che negli ultimi mesi hanno fornito un contributo rilevante dal punto di vista militare al regime di Damasco che è così riuscito ad infliggere alle milizie dell’opposizione importanti sconfitte.
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