L’attentato di stamane nella zona Bir Hassan di Beirut sud è un attacco sucida, rivendicato da un gruppo legato ad Al Qaeda denominato brigate Abdullah Azzam. L’obiettivo era proprio l’ambasciata iraniana il cui addetto culturale risulta fra le vittime, salite a ventitré con centocinquanta feriti. L’ha confermato, con un trillo lanciato su Twitter, lo sheikh Sirajeddine Zuraiqat che ha onorato i due martiri immolatisi facendosi saltare in aria in successione, su una moto e alla guida d’un fuoristrada. Alcuni testimoni hanno dichiarato che l’auto (sicuramente imbottita d’esplosivo) sarebbe deflagrata sotto i colpi dei militari di guardia sotto la sede diplomatica. A chiusura del messaggio una minaccia: “Le operazioni proseguiranno finché il partito iraniano (Hezbollah, ndr) non ritirerà i suoi combattenti dal territorio siriano”. Mentre dei propri combattenti rinchiusi nelle prigioni libanesi lo sceicco chiede la liberazione. Alcuni conoscitori della galassia jihadista sostengono come le brigate Azzam, che prendono il nome da un guerrigliero palestinese già impegnato contro l’esercito statunitense in Afghanistan e morto in un’azione in Pakistan, siano divise in due tronconi. Il primo costituisce un gruppo di fuoco clandestino. Il secondo, egualmente combattente, è affiliato al Fronte popolare della liberazione della Palestina-comando generale Jibril. Secondo voci quest’ultimo collaborerebbe coi Servizi d’informazione di Asad e avrebbe basi, appoggi e reclutamento in tre campi profughi palestinesi in Libano: Naamé, Koussaya, Bouri Al-Barajné.
L’Iran accusa Israele
“Un atto terroristico, un crimine inumano perpetrato dai sionisti e dai loro mercenari” è la dichiarazione del portavoce degli Affari Esteri iraniano lanciata dall’Agenzia Irna. Nello stesso comunicato s’esprime il cordoglio per il decesso, a seguito delle molteplici ferite, del responsabile culturale, il chierico Ibrahim Al-Ansari, e d’un addetto alla sicurezza della sede. L’ambasciatore iraniano Ghadanfar Rokn Abadi, intervistato dall’emittente televisiva Al-Manar vicina al Partito di Dio, ha affermato che nonostante le vite umane spezzate, nulla cambierà nella politica estera iraniana e nel rapporto con lo stato libanese. “I due popoli sono amici e continueranno a collaborare, noi proseguiremo l’impegno di lotta contro il nemico israeliano”. Il diplomatico fa intendere che assieme alle rivendicazioni reali o presunte Tel Aviv lavori per realizzare o supportare attentati. Per il premier dimissionario Mikati “Simili azioni terroristiche mirano a destabilizzare il Paese e intimorire le nostre comunità, cercando d’intralciare una soluzione pacifica dell’impasse politica interna”. Da parte sua il ministro dell’Informazione libanese ha invitato i media a riferire sulla vicenda con pacatezza evitando preconcetti e speculazioni di parte. A smentirne l’esortazione giungono i partiti che hanno iniziato (Hezbollah e il Fronte Libanese su tutti) a valutare l’episodio secondo gli schemi confacenti alla rispettiva propaganda. Fra le potenze mondiali finora solo la Francia (sempre in prima fila sulle vicende dell’ex protettorato) s’è preoccupata per la ripresa di tensioni, foriere di criticità per la già difficile unità nazionale libanese.
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