Ha inondato il Giappone di liquidità rilanciando l’economia, ha reintrodotto un linguaggio sciovinista decidendo di ravvivare la corsa agli armamenti, ha accentuato lo scontro con la Cina e rinforzato l’alleanza con gli Stati Uniti. Il primo ministro, il nazionalista Shinzo Abe, sta diventando molto amato da un ampio settore di popolazione giapponese ma anche molto odiato dalla parte restante.
E le critiche nei suoi confronti sono drasticamente aumentate, non solo sul fronte interno ma anche su quello internazionale, da quando la scorsa settimana la sua maggioranza parlamentare – il Partito Liberaldemocratico – ha approvato una drastica legge sul segreto di Stato che di fatto impone il bavaglio alla stampa su molte questioni rilevanti. Infatti la nuova definizione di “segreto di Stato” è assai estesa e ambigua, e non è prevista l’esistenza di nessun organismo indipendente in grado di controllare l’applicazione della legge da parte dell’esecutivo. Il che consegna al governo giapponese un potere enorme di nascondere informazioni vitali per la vita politica ed economica del paese.
La legge è stata approvata con 130 voti a favore contro 82 contrari ma secondo i sondaggi circa metà della popolazione giapponese è fortemente contraria al provvedimento e non sono mancate critiche neanche da parte di giornalisti, intellettuali e analisti affini al partito di governo. Sono stati migliaia finora i lavoratori dell’informazione, i semplici cittadini, gli accademici, i giuristi, gli attivisti dei diritti umani, gli esponenti del mondo del cinema e dello spettacolo che hanno firmato petizioni che chiedevano di bloccare la contestata legge o almeno di alleggerirla dei suoi aspetti più inquietanti. Ma non c’è stato niente da fare.
Shinzo Abe insiste sulla necessità di una legge così restrittiva – per altro presentata e approvata in tempi record – diretta a proteggere le informazioni che provengono da “alleati stranieri”, di fatto per nascondere sotto una coltre di segretezza gli affari e i patti tra Tokio e Washington. Ma è ovvio che quanto è accaduto a Fukushima e le conseguenza che ciò ha avuto sul business dell’atomo ha convinto le lobby politiche nucleariste a correre ai ripari.
In base alle nuova norma ad esempio tutte le informazioni che riguardano la difesa, la diplomazia, l’antiterrorismo e la sicurezza sono strettamente sottoposte a segreto di stato e quindi fuori dalla portata dei media, pena sanzioni molto pesanti: fino a dieci anni di reclusione e fino a 10 milioni di yen di multa.
Come se non bastasse in questi giorni Shigeru Ishida, presidente del Partito Liberal-democratico, perno della maggioranza di centro-destra, ha avanzato la proposta che i media siano posti sotto un maggior controllo governativo: “In base al sentire comune, le attività dei mass media dovrebbero essere limitate in qualche modo, se nei loro articoli mettono in grave pericolo la sicurezza nazionale”, ha detto il leader governativo. Un pensiero che ha naturalmente sollevato l’indignazione di organi di informazioni, giuristi e comuni cittadini, che sono tornati a sollecitare l’immediata cancellazione della legge appena approvata. Anche il Foreign Correspondents’ Club of Japan ha dato voce ai timori e alle rimostranze dei giornalisti stranieri presenti a Tokyo. In passato, vari membri dell’Fccj hanno contribuito a rivelare scandali che coinvolgevano il governo o suoi esponenti, e proprio recentemente hanno rivelato le evidenti lacune e contraddizioni rispetto alle informazioni fornite dall’esecutivo sulle conseguenze dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima. Proprio a questo riguardo Anand Grover, Special Rapporteur per il diritto alla salute dell’Onu, ha fatto notare che “Specialmente nei casi di calamità naturali, è essenziale assicurare che il pubblico abbia informazioni coerenti e tempestive che consentano di prendere decisioni consapevoli riguardanti la propria salute”. Ma finora l’esecutivo di Shinzo Abe ha ignorato ogni rimostranza.
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