Si fa sempre più grave la situazione in Iraq, paese distrutto dalla guerra e poi dall’occupazione statunitense – o meglio occidentale, visto che per anni ci sono state anche numerose truppe europee – e che ora è sconvolto da una guerra civile di “bassa intensità” fatta di attentati e scontri che hanno provocato solo nel 2013 parecchie migliaia di morti.
La novità delle ultime ore è che le milizie islamiste legate ad Al Qaeda si sono scontrate ieri con le truppe fedeli al debole governo di Baghdad e le hanno sconfitte, impossessandosi di cruciali zone nelle città di Falluja e Ramadi. I fondamentalisti sono passati all’offensiva ed hanno attaccato le postazioni della polizia e dell’esercito schierati dal premier sciita Nuri al Maliki nel tentativo di bloccare l’avanzata dei gruppi terroristici sunniti. Che poi hanno attaccato alcuni commissariati e assaltato le carceri di entrambi le città liberando una gran quantità di combattenti islamisti, ed infine si sono impossessati delle principali moschee.
I miliziani, vestiti di nero e con le bandiere nere di Al Qaeda, dalle moschee hanno inviato un insistente appello alla popolazione sunnita ad unirsi alla rete fondamentalista, chiedendo anche ai giovani iracheni di andare a combattere nella vicina Siria contro il governo dell’eretico (in quanto appartenente alla comunità alawita, una branca della corrente sciita dell’Islam) Bashar al Assad. D’altronde l’organizzazione legata ad Al Qaeda in Iraq si fa chiamare “Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Siria)”, o Isil nella sigla in inglese, ed opera in entrambi i paesi.
Ora il governo centrale iracheno – che già deve fare i conti con la decisione del governo autonomo curdo di esportare greggio in Turchia senza il consenso di Baghdad – sta cercando di capire come riprendere il controllo della provincia occidentale di Al Anbar, a maggioranza sunnita. L’impennata della violenza si è verificata lo scorso 30 dicembre, quando la polizia ha smantellato un sit-in eretto circa un anno fa da manifestanti legati ad organizzazioni islamiste sunnite ritenute contigue ad Al Qaeda. Il bilancio, di 13 morti e una quarantina di feriti, aveva scatenato feroci polemiche e portato alle dimissioni di 44 deputati.
L’episodio ha comunque fornito la scusa per migliaia di miliziani di Al Qaeda e di altre reti islamiste di assaltare edifici pubblici e postazioni della polizia e dell’esercito a Ramadi e a Falluja già mercoledì scorso. “Oggi abbiamo sconfitto l’esercito e se domani il governo dovesse inviare altre forze militari siamo preparati a riceverle” ha detto all’agenzia Reuters un capo tribù sunnita di Ramadi, lo sceicco Adnan al Mehana.
Il progressivo peggioramento della situazione nel paese è testimoniato da un aumento esponenziale delle vittime registrate nel corso del 2013: stando ai dati di Iraq Body Count, una ong basata in Gran Bretagna, solo lo scorso anno nel paese sono stati uccisi 9.475 civili. Un dato simile a quelli, drammatici, del 2008, dopo che per quattro anni il numero dei morti si era praticamente dimezzato.
La improvvisa recrudescenza degli ultimi mesi è legata alle crescenti difficoltà incontrate da Al Qaeda e dall’insieme delle opposizioni sunnite nella sanguinosa guerra civile in corso in Siria, dove l’esercito fedele al governo da una parte e le milizie popolari di autodifesa curde dall’altra stanno infliggendo dure sconfitte alle milizie fondamentaliste. Il che ha spinto gli sponsor principali delle forze sunnite – Arabia Saudita in testa – a coinvolgere nel conflitto due paesi chiave nella regione, come il Libano ed appunto l’Iraq. Non è un caso che domenica scorsa le forze di sicurezza irachene abbiano catturato proprio a Ramadi un commando composto da combattenti sauditi che sarebbero stati trovati in possesso di armi e apparecchiature destinate proprio alle locali milizie sunnite.
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