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Israele comincia a temere la campagna internazionale di boicottaggio

Prima il New York Times, oggi il Corriere della Sera, danno corpo alle preoccupazioni dell’establishment israeliano sulla rinnovata efficacia della campagna internazionale di boicottaggio in corso verso Israele. Il Corriere riferisce di una riunione d’emergenza convocata dal governo israeliano per discutere le possibili conseguenze  della campagna internazionale di boicottaggio in corso verso l’economia coloniale israeliana.  Dopo che il Pggm (uno dei più grandi fondi pensioni olandesi) ha ritirato i suoi fondi dalle banche israeliane e il calo delle azioni in borsa della israeliana Soda Stream (alla quale non è bastato il volto di Scarlett Johansonn), appare evidente che la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni comincia a fare effetto.

Le autorità israeliane in questi mesi hanno come al solito approfittato dello stallo dei negoziati con l’Anp per dare vita ad una nuova escalation di insediamenti coloniali sui territori palestinesi, che stanno però incontrando una rinnovata resistenza da parte della popolazione. “Una Terza Intifada è in corso E ‘quello che Israele sempre temeva di più -.. Non un intifada con pietre o kamikaze, ma animata da resistenza non violenta e boicottaggio economico” , scrive in una corrispondenza da Ramallah Thomas Friedman, sul New York Times. Ma, secondo il noto columnist statunitense, oltre agli shebab palestinesi questa Terza Intifada è condotta “dall’Unione Europea a Bruxelles e altri oppositori dell’occupazione israeliana della Cisgiordania in tutto il mondo. Indipendentemente dall’origine, però, sta diventando una vera e propria fonte di leva per i palestinesi nei loro negoziati con Israele.”

Ma la campagna di boicottaggio si è allargata dall’economia anche ad artisti e accademici. Il gran rifiuto di Roger Waters ad andare a suonare in Israele sta facendo scuola; altri lo avevano preceduto ed altri lo hanno seguito. Adesso è il turno di Neil Young sul quale piovono appelli affinchè non vada a suonare in Israele.

Negli Stessi Stati Uniti, lo scontro politico su Israele si sta alzando di tono. Il segretario di Stato Usa Kerry si è lasciato andare a dichiarazioni spazientite verso le autorità israeliane, evocando lui stesso i rischi del boicottaggio di fronte all’ostinazione di Tel Aviv. Le lobby filoisraeliane negli Stati Uniti stanno cercando di imporre pesanti contromisure.  A New York, alcuni settori dell’establishment vorrebbero approvare una legge che escludere il finanziamento statale ai gruppi accademici che prendono parte al boicottaggio degli istituti di istruzione superiore in Israele. L’iniziativa, a fine gennaio è passata al Senato dello stato di New York ed è in attesa dinanzi all’Assemblea dello Stato di New York.

Il disegno di legge è stato introdotto dopo che l’American Studies Association nel mese di dicembre ha adottato una risoluzione a sostegno di un appello dei palestinesi al boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane. Il gruppo ha dichiarato che avrebbe rifiutato collaborazioni formali con le istituzioni accademiche israeliane, o con studiosi che rappresentano le istituzioni o il governo israeliano, fino a quando “Israele cessi di violare i diritti umani e il diritto internazionale.” Il boicottaggio, affermano gli accademici dell’Asa, non si applica però ai singoli studiosi israeliani impegnati in scambi ordinari.

Forse, dopo tanti anni – troppi occorre dire – il colonialismo israeliano è stato “tanato” da ambiti più ampi di quelli già impegnati nella solidarietà con il popolo palestinese. Le autorità israeliane hanno serissimi motivi per preoccuparsi. La loro escalation coloniale e il modello sionista sul quale si regge l’occupazione della Palestina potrebbero non godere più dell’impunità di cui hanno goduto per sessanta anni. Se non dalle istituzioni internazionali sicuramente della comunità civile.

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