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Islanda. Il governo dice no all’Ue, gli europeisti si arrabbiano

Era da un po’ di tempo che nella fredda Islanda non si vedevano manifestazioni di piazza così partecipate e numerose. Dai tempi – era il 2009 – in cui il paese ha fatto crack e a decine di migliaia hanno protestato con veemenza affinché il modello sociale tipico del piccolo ma prospero paese nordico non fosse sacrificato sull’altare del pagamento del debito, tra l’altro nei confronti di banche private, per lo più olandesi e britanniche. Ora il paese – dopo alcuni cambi di governo e la riscrittura della Costituzione – è rientrato in carreggiata, e alle ultime elezioni ha vinto una coalizione di centrodestra. Per la quale hanno votato anche numerosi elettori fino a quel momento di centrosinistra, desiderosi di mandare un segnale chiaro alla classe politica locale e alla burocrazia di Bruxelles. Un no pragmatico ma chiaro: fuori dall’Unione Europea.

Ed in effetti il nuovo governo formato dai centristi del Partito progressista e dai “conservatori” del Partito dell’Independenza ha subito interrotto i colloqui per l’adesione di Reykjavik all’Unione Europea, iniziati nel 2010 dall’esecutivo di coalizione tra socialdemocratici e verdi, demandando la decisione finale ad un referendum popolare da organizzare in seguito. Referendum che però, ha detto ora il governo guidato da Sigmundur Gunnlaugsson, non c’è bisogno di tenere. Il 21 febbraio scorso l’esecutivo di Reykjavik ha approvato una legge che sancisce il no definitivo all’ingresso nell’Unione Europea affermando che rimanere fuori è il modo migliore per tutelare gli interessi economici degli islandesi.
Naturalmente a Bruxelles non l’hanno presa bene, ed hanno accusato Gunnlaugsson di aver fatto una scelta egoistica e poco lungimirante, dettata più che altro dal conflitto in corso da tempo sul tema delle quote di pesca, uno dei settori chiave per l’economia islandese.
Neanche i settori europeisti di centrosinistra locali hanno preso bene la decisione del governo e così a migliaia sono scesi in piazza per contestarla, mentre finora circa 35 mila persone hanno firmato una petizione che chiede che il referendum sull’UE si celebri al più presto.
I sondaggi continuano a mostrare che una maggioranza netta della popolazione dell’isola è fermamente contraria all’unione. Molti dei manifestanti infatti voterebbero no all’ingresso nell’Ue ma pretendono che la decisione sia il frutto di un momento di partecipazione popolare e non di un accordo tra i due partiti di governo, mentre altri pur essendo favorevoli affermano che occorre alzare il prezzo per una eventuale integrazione nello spazio geopolitico europeo, in modo da strappare a Bruxelles qualche cosa in più. 

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