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Destituito il premier, Libia sull’orlo della guerra civile

Sarebbe fuggito in Europa – più precisamente in Germania – l’ex presidente del consiglio libico, Ali Zeidan, sfiduciato l’altro ieri dal Parlamento provvisorio di Tripoli che ha nominato neopremier il ministro della Difesa, Abdullah al Thani. Alla destituzione è seguito un provvedimento della procura generale che ieri sera ha imposto all’ex primo ministro il divieto di espatrio per il suo presunto coinvolgimento in un caso di appropriazione indebita di fondi pubblici. 

Ma lo storico oppositore di Gheddafi, designato alla guida del governo dal Congresso Generale Nazionale libico il 14 ottobre del 2012, aveva a quel punto già lasciato il Paese a bordo di un aereo. Dopo una sosta a Malta di qualche ora Zeidan è ripartito alla volta di un Paese straniero, ha precisato in un’intervista tv il premier maltese Joseph Muscat. Molto probabilmente la Germania, visto che Zeidan ha anche la nazionalità tedesca. Che la sua carriera politica fosse finita si era capito il 10 ottobre del 2013, quando un gruppo di uomini armati lo aveva rapito a Tripoli e poi rilasciato. Qualche giorno dopo era stato lo stesso uomo dell’Occidente a denunciare un tentativo di colpo di Stato e nel febbraio scorso le voci su un presunto ultimatum di sapore golpista e l’intimazione a dimettersi rivolto da alcune potenti milizie ai deputati del Congresso transitorio avevano ulteriormente accresciuto le preoccupazioni di Zeidan, fino alla sfiducia di martedì e alla fuga. 

Dopo il repentino cambio di governo il presidente del Congresso, Nuri Abu Sahmain, ha immediatamente lanciato ai ribelli secessionisti della Cirenaica un ultimatum: entro due settimane devono togliere il blocco ai porti occupati e bloccati da mesi, altrimenti il governo centrale interverrà con la forza. Ma i leader separatisti si considerano di fatto indipendenti da Tripoli ed hanno cominciato a vendere – o almeno ci provano – il petrolio dei pozzi dell’est del paese bypassando completamente le autorità centrali. Giorni fa alcune imbarcazioni governative avevano bloccato e sequestrato una petroliera nord coreana che aveva ‘illegalmente’ caricato parecchie tonnellate di greggio.

In queste ore milizie fedeli al governo provenienti da Misurata avrebbero preso il controllo di infrastrutture chiave nella città di Sirte nel quadro di un’offensiva contro i ribelli che da luglio hanno il controllo dei terminal petroliferi dell’est. La conquista di una base aerea e di altre infrastrutture a Sirte è stata confermata da un portavoce dei ribelli inquadrati nelle cosiddette “Forze di difesa della Cirenaica”. L’avanzata delle unità governative dovrebbe puntare verso As Sidra, centro nevralgico per l’esportazione del greggio situato circa 180 chilometri a est di Sirte.

“Abbiamo deciso di concedere una scadenza massima di due settimane per la fine del blocco dei siti petroliferi” ha avvertito ieri il presidente del Congresso generale nazionale (Cgn, parlamento) Nouri Abou Sahmein, che è anche capo di stato maggiore delle alquanto deboli e sgangherate forze armate libiche. “Se l’ultimatum non dovesse essere rispettato, verrà attuata un’operazione militare in corso di preparazione” ha minacciato Abou Sahmein. Due giorni fa il parlamento libico ha ordinato la creazione di una Forza armata speciale per “liberare e rimuovere il blocco in vigore su tutti porti petroliferi della Libia”. Nella nuova unità militare dovrebbero entrare a far parte sia soldati regolari sia ex ribelli che hanno combattuto contro il governo di Gheddafi nel 2011.

Ma la decisione del Congresso ha generato più di un’aggressione: per alcuni media ed osservatori un’operazione armata contro i ribelli delle “Forze di difesa della Cirenaica” potrebbe “far precipitare il paese nella guerra civile” oltre che provocare “una divisione territoriale netta”.

Ma la sospensione delle esportazioni di oro nero nei tre principali terminal petroliferi dell’est ha provocato un crollo delle entrate petrolifere nelle casse dello Stato e dopo mesi di blocco dei pozzi dell’est il governo ha deciso di tentare un rischioso colpo di mano.

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