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Offensiva contro Mosul, muro contro muro tra Turchia e Iraq

Basta soffermarsi sul duro scambio di battute tra il leader iracheno e il capo del regime turco per rendersi conto di quanto sia salita la tensione tra i due paesi. “Lui dice ‘ritiratevi’. L’esercito della Repubblica di Turchia non ha perso il senno tanto da prendere ordini da te. Non sei il mio interlocutore, non sei al mio livello. Chi sei? Il premier iracheno. Stai al tuo posto” ha detto Erdogan rivolgendosi ad al Abadi. Che ha reagito attraverso un suo portavoce secondo il quale il presidente turco "sta gettando benzina sul fuoco … Sembra che la Turchia non sia seria nella sua volontà di risolvere il problema con l'Iraq".

Oggetto della disputa tra i due paesi è non solo la presenza di circa 2000 militari turchi sul suolo iracheno, metà dei quali acquartierati in una base militare realizzata ad hoc a Bashiqa, a pochi chilometri da Mosul, grazie all’ospitalità del governo regionale del Kurdistan, ma soprattutto la assai concreta possibilità che l’esercito di Ankara, affiancato da un numero imprecisato di mercenari e miliziani agli ordini dell’amministrazione di Erbil, partecipi in maniera autonoma all’offensiva contro Daesh.

Dopo che il parlamento di Ankara ha rinnovato di un altro anno la permanenza delle sue truppe sia nella Siria del nord che nell’Iraq settentrionale, appare più che evidente che Erdogan mira a imporre la propria egemonia in entrambi i paesi manu militari, giustificando l’invasione con la necessità di proteggere i propri confini e dare il proprio ‘fondamentale’ contributo alla lotta contro lo Stato Islamico e contro l’insorgenza curda, continuando i bombardamenti contro le basi del Pkk sui monti ai confini tra i due paesi. L’obiettivo del regime turco è prendere Mosul per impedire che a liberarla siano le truppe di Baghdad e le milizie sciite che da anni contrastano i jihadisti. In questo modo Ankara rafforzerebbe il controllo su una porzione strategica di Iraq e imporrebbe la sua partecipazione ad un tavolo sul ridisegno dei confini del Medio Oriente forte del suo ruolo di potenza belligerante e ‘liberatrice’. E questo anche se la Turchia non mira certo a sbaragliare i jihadisti asserragliati nell’ultima grande città irachena in mano al Califfato, ma semmai a proteggerne e patrocinare una sorta di riconversione ‘moderata’ che possa servire i propri interessi egemonici nella regione.

Da giorni il primo ministro iracheno denuncia l’intrusione turca accusando Erdogan di aver coinvolto il suo esercito “in un'avventura e in un’aggressione ad un paese vicino dalle conseguenze ignote… che potrebbe scatenare una disastrosa guerra regionale”. Ma gli appelli di Baghdad sono rimasti sostanzialmente inascoltati dalla cosiddetta comunità internazionale – Russia compresa, reduce dalla firma di un appetitoso accordo energetico con il ‘sultano’ – che si è ben guardata dall’intervenire contro il regime turco. Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri iracheno ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di riunirsi d’urgenza e di prendersi le proprie responsabilità ma la richiesta è rimasta finora lettera morta. “Le forze turche dispiegate in Iraq non sono parte della coalizione internazionale –si è limitato a commentare il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Kirby – È necessario che le parti si coordinino per assicurare l’unità dell’impegno”.

Ankara è arrivata addirittura ad affermare che sarebbe stato il governo iracheno a chiedere l’intervento delle truppe turche per partecipare all’offensiva contro Mosul che, in realtà, è stata finora rimandata proprio a causa del rischio che l’intervento dell’esercito di Erdogan faccia il gioco dei jihadisti. "Le affermazioni del presidente Erdogan sul fatto che sia stato al Abadi a chiedere l'allestimento della base turca a Bashiqa durante una sua visita ad Ankara non sono corrette" ha affermato l’ufficio di al Abadi in un comunicato.

Ma il ‘sultano’ ha reagito confermando che le forze armate turche di stanza a Bashiqa non prenderanno ordini dal governo iracheno e agiranno indipendentemente. "L'Iraq ci ha fatto alcune richieste in merito a Bashiqa e ora ci dicono di abbandonare la base, ma l'esercito turco non è caduto così in basso da prendere ordini da Baghdad" ha tuonato Erdogan ribadendo che devono essere truppe sunnite a ‘liberare’ Mosul e non gli sciiti che pure rappresentano ben il 60% della popolazione irachena e che sostanzialmente esprimono il governo di Baghdad.

Da capire cosa faranno i peshmerga agli ordini del governo regionale curdo, da sempre quinta colonna degli interessi turchi (oltre che statunitensi e israeliani) in aperta contrapposizione con l’esecutivo centrale. Proprio recentemente le autorità di Erbil hanno affermato che i propri miliziani (parte dei quali addestrati proprio dalle truppe turche a Bashiqa) non si ritireranno dai territori della provincia di Ninive e di quella di Kirkuk, ricche di petrolio, che negli ultimi due anni hanno parzialmente occupato sull’onda dei rovesci inferti a Daesh. Ma negli ultimi giorni sembra che si sia realizzato un parziale avvicinamento tra Erbil e Baghdad, con la definizione di un accordo militare che prevede l’intervento congiunto dell’esercito iracheno e delle milizie curde.

Secondo il portavoce delle forze armate irachene, Yahya Rasoul, il piano d’attacco contro Mosul prevede che solo le forze speciali di Baghdad, l’esercito, la polizia e i volontari locali facciano il loro ingresso nella città, mentre i peshmerga dovrebbero incaricarsi di sostenere la prima fase dell'offensiva e di presidiare i dintorni. All’offensiva è prevista la partecipazione anche delle Unità di Mobilitazione Popolare, le milizie sciite alle quali Ankara intende sbarrare la strada.

Intanto, all’interno della città assediata, più di un milione di persone che non hanno potuto o voluto abbandonare Mosul tirano il fiato, in attesa dell’imminente inizio della battaglia che per ora si svolge a circa 25 chilometri dal centro. I miliziani jhadisti cercano di fiaccare il morale dell’avversario aumentando il numero di attacchi suicidi nelle città irachene e nel frattempo scavano trincee e minano ponti, edifici e strade. Ed è stata diffusa ieri la notizia che, lo scorso due ottobre, due peshmerga sono stati uccisi e due soldati francesi delle forze speciali sono stati feriti a poca distanza da Mosul da un attacco dell’Isis realizzato con un ‘drone’, in realtà un modellino di aereo in polistirolo telecomandato a distanza.

 

Marco Santopadre

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