Le elezioni politiche di ieri in Ungheria hanno confermato una tendenza già evidente negli anni scorsi, con la destra di governo che conserva le sue posizioni di dominio e l’estrema destra neonazista all’opposizione che cresce. Aumenta anche l’astensionismo, di quattro punti percentuali, collocandosi la partecipazione al 61%.
L’ex partito liberale Fidesz, portato dal primo ministro uscente Viktor Orban su posizioni apertamente reazionarie, populiste e xenofobe, ha ottenuto il 44,5% dei voti, percentuale che gli concede un’ampissima maggioranza nel parlamento di Budapest. E comunque la destra stacca di ben 20 punti i socialdemocratici, che ottengono solo un 25,9% a fronte dei nazisti di Jobbik che sfondano il muro del 20%, ottenendo il 20,7% dei consensi (era il 16,7 nel 2010). Solo un 5,2% per gli ecologisti dell’LMP, che basterebbe comunque a permettergli l’ingresso in parlamento visto che la soglia di sbarramento è fissata al 5%. In base a questi risultati, quasi definitivi, il Fidesz otterrebbe 133 seggi, il centrosinistra 38, altri 23 l’estrema destra di Jobbik e 5 gli ecologisti. Nei prossimi giorni dovrebbero però arrivare alcune centinaia di migliaia di voti espressi dagli ungheresi che vivono nei paesi limitrofi, ai quali il governo Orban ha recentemente concesso il diritto di voto e che potrebbero aumentare ulteriormente il vantaggio della destra populista.
Certo il Fidesz ha perso otto punti percentuali rispetto alle elezioni di quattro anni fa – quando prese il 52,7% – ma con 133/134 seggi Orban può comunque contare sui due terzi dei seggi totali dell’assemblea nazionale di Budapest, il che gli permetterà di avere i voti sufficienti, senza dover negoziare con nessuno dei partiti dell’opposizione, per imporre leggi di natura costituzionale.
Orban e i suoi non hanno nascosto l’entusiasmo di fronte ai risultati. “L’Ungheria è il paese più unito d’Europa” ha affermato trionfalmente il primo ministro al suo terzo mandato quadriennale, in un’esplicita frecciata all’establishment dell’Unione Europea che negli ultimi anni ha fortemente criticato e pressato l’esecutivo di Budapest dopo il varo di alcune leggi e la riforma della costituzione considerate non in linea con la giurisprudenza continentale e improntate a un nazionalismo aggressivo, autoritario e xenofobo. Ad esempio nel 2012 il governo ha cambiato unilateralmente la legge elettorale, cambiando la geografia dei distretti elettorali per favorire i candidati del Fidesz e portando i seggi da 386 a 199, oltre a cancellare il ballottaggio. Altre misure contestate da Bruxelles, oltre che dall’opposizione, sono state la riduzione dei poteri della Corte Costituzionale, il prepensionamento obbligatorio di molti magistrati invisi al governo e l’introduzione di una dura censura sui media, chiamata non a caso ‘legge bavaglio”.
Ma per molti ungheresi Orban è un campione degli interessi nazionali, visto che ha ridotto le tasse sui redditi ed ha abbassato le bollette elettriche aumentando il controllo statale sul settore energetico (anche grazie ad un accordo con la Russia inviso a Bruxelles). In campagna elettorale il leader del Fidesz ha promesso che taglierà le ipoteche in valuta straniera che pesano su molte famiglie, attaccando gli interessi delle banche di vari paesi dell’Ue che spadroneggiano in Ungheria. Oltretutto negli ultimi anni il governo ha ridotto il debito pubblico, ha aumentato i salari e ridotto la disoccupazione sotto il 10%. Argomenti che hanno fatto breccia in un elettorato poco incline a identificarsi nelle critiche ‘politiche’ delle opposizioni.
A preoccupare è naturalmente anche la crescita dei fascisti di Jobbik, che in molte circoscrizioni hanno di gran lunga superato il blocco formato dai socialisti e dai loro alleati. La campagna elettorale dell’estrema destra è stata aggressiva e martellante, al grido di ‘No all’Unione Europea, si alla Grande Ungheria’. «Vogliamo farla finita con la vecchia classe politica – ha gridato nei tanti comizi Márton Gyöngyösi, uno dei dirigenti di punta di Jobbik -. Il nostro obiettivo è prendere le distanze da Bruxelles, combattere il crimine, la corruzione e lo strapotere delle banche». Un linguaggio euroscettico che veicola contenuti apertamente fascisti e razzisti, sostenuti in questi anni dalle aggressioni contro esponenti della sinistra e soprattutto le comunità Rom. Nel novembre del 2012, mentre le squadracce dell’estrema destra, sopravvissute allo scioglimento della Milizia del partito, assaltavano interi villaggi abitati dagli ‘zingari’, in parlamento Gyöngyösi proponeva la schedatura non solo di tutti gli appartenenti alla minoranza Rom, ma anche dei parlamentari di origine ebraica. Durante la vittoriosa campagna elettorale ha chiesto « l’istituzione di una gendarmeria nazionale sul modello delle milizie create nel primo dopoguerra dall’ammiraglio Horty», il dittatore fascista che dal 1920 al 1944 guidò il paese con il pugno di ferro, alleandosi con i nazisti tedeschi.
Il governo di Orban compete con i fascisti – gli argomenti dei rispettivi schieramenti sono spesso gli stessi – ma al tempo stesso li legittima, spostando gradualmente a destra il proprio discorso. “Oggi l’Ungheria è dominata da una lobby politico-economica di stampo oligarchico – dichiara lo sconfitto candidato dell’opposizione, il socialista Attila Mesterházy -. Le forze di sinistra sono state letteralmente imbavagliate. Inoltre, ci sono stati brogli durante la raccolta delle firme. Le forze di maggioranza hanno dato vita a una vera e propria tirannia parlamentare, liquidando il pluralismo e lo stato di diritto». Ma sembra ormai ovvio che né l’europeismo nè il conformismo in campo economico e sociale delle opposizioni arresteranno l’ascesa delle due destre estreme nella doppia versione governista ed estremista. Anzi.
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