Nell’est e nel sud dell’Ucraina assediati dalle truppe ucraine e dalle milizie neonaziste la situazione rimane difficile e tesa, e anche oggi non sono mancati combattimenti e provocazioni. Ma la giornata odierna è caratterizzata dalle prove di disgelo tra l’Unione Europea – Germania in particolare – e la Russia, nonostante proprio ieri l’Europa abbia aumentato e irrigidito le sanzioni già imposte contro il governo e le imprese di Mosca a causa della reazione di Putin al golpe filoccidentale andato in scena a Kiev nel febbraio scorso.
Secondo alcuni analisti sarebbe iniziato “il conto alla rovescia per il salvataggio dell’Ucraina”. Dopo lo svolgimento del referendum indipendentista e la nascita delle repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk, che hanno annunciato l’avvio di un percorso di unificazione in vista di una possibile adesione alla Federazione Russa, dopo aver di fatto perso la Crimea il paese di fatto è spaccato a metà. Anzi, in realtà, l’autorità della giunta golpista di Kiev in quasi metà del paese non ha alcun valore, tanto che il Fondo Monetario ricatta i nuovi padroni del paese facendo notare che se non sono in grado di controllare le regioni minerarie e industriali del Donbass insorte contro i fascisti, il prezzo che il popolo ucraino dovrà pagare in cambio del megaprestito da 35 miliardi dovrà essere ridiscusso. Ed evidentemente alzato.
Sotto la spinta della Germania, l’Unione Europea sembra da qualche tempo alla ricerca, anche se con timidezza, di una soluzione negoziale che disinneschi la polveriera ucraina, soprattutto per non avvantaggiare le mire statunitensi che grazie al muro contro muro con Mosca hanno rafforzato la loro presenza militare diretta nell’Europea nord-orientale e si propongono come potenziali sostituiti della Russia nelle forniture di gas e petrolio (anche se utilizzando il micidiale e costoso shale gas).
Anche la Russia cerca un compromesso con Bruxelles che spezzi l’accerchiamento e dia un po’ di respiro all’economia del paese, colpita dalle sanzioni internazionali la cui entità potrebbe crescere ancora nei prossimi mesi se la crisi dovesse continuare ad aggravarsi.
Ma se per l’Unione Europea il principale ostacolo al raggiungimento di un qualche duraturo accordo con la Russia è rappresentato dall’intransigenza delle forze ultranazionalista e fasciste lanciate all’assalto delle regioni orientali e nella caccia al “russo” e al “comunista” in quelle che pure controllano, per Mosca il problema è rappresentato soprattutto dalle popolazioni di Donetsk, Kharkov, Lugansk, Odessa, Sloviansk e Mariupol, che non sembra vogliano saperne di deporre le armi e permettere ad esempio che il 25 maggio anche nei loro territori si voti per le elezioni farsa organizzate dai golpisti messi in sella dall’occidente. Lo hanno detto chiaro e tondo, appena dopo la diffusione dei risultati del referendum sull’autodeterminazione stravinti dai sostenitori del ‘si’ al distacco da Kiev, i portavoce dei governi paralleli: da oggi le forze armate ucraine presenti sul suolo delle Repubbliche Popolari sono da considerarsi “ostili” e “occupanti”. Figuriamoci se è pensabile che gli emissari e i militari di Kiev possano organizzare nel giro di dieci giorni la macchina elettorale nelle cosiddette ‘repubbliche secessioniste’.
Potrebbe suonare davvero inquietante per gli antifascisti del Donbass e di Lugansk, quindi, la dichiarazione odierna del Cremlino. Il governo russo ha infatti affermato che “si aspetta” che i federalisti filorussi rispettino la roadmap dell’Osce nel momento in cui Kiev dovesse interrompere la sua offensiva militare nell’est del Paese. “Se Kiev attuasse simili misure, noi ci aspettiamo che i leader delle forze di autodifesa di Donbass e Luhansk reagiscano in modo adeguato”, ha indicato il ministero degli Esteri russo in un comunicato, giudicando “estremamente importante” avviare il più velocemente possibile una roadmap che ricalca l’accordo già raggiunto a Ginevra alcune settimane fa. Un accordo che prevedeva lo scioglimento delle milizie popolari antifasciste – ma non della Guardia Nazionale e di Pravyi Sektor – respinto dalle regioni insorte e diventato immediatamente carta straccia a causa del lancio di numerosi attacchi contro Sloviansk, Kharkov e Mariupol da parte della Giunta di Kiev.
La tabella di marcia varata dall’Osce, coordinata da un diplomatico tedesco e teoricamente accettata da tutti i paesi coinvolti, prevede in sostanza quattro punti fondamentali, dal cessate il fuoco immediato alla progressiva de-escalation del conflitto, passando per il dialogo tra le fazioni in campo e lo svolgimento regolare delle elezioni presidenziali il 25 maggio. Un punto, quest’ultimo, che segnerebbe la normalizzazione e la legittimazione del potere dei golpisti e che annullerebbe del tutto il senso delle proclamazioni di indipendenza nell’est e nel sud del paese.
Il primo banco di prova sarà la tavola rotonda che dovrebbe riunire domani tutte le parti interessate – ma non i rappresentanti delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk – anche se le difficoltà sono già enormi per decidere chi in realtà vi prenderà parte. Il governo nazionalista non vuole saperne di trattare con i rappresentanti dei governi locali dell’est, definiti ‘terroristi’, che si apprestano domenica prossima a far votare le popolazioni insorte in un nuovo referendum che contempla l’annessione alla Federazione Russa.
È la Germania che si è assunta il difficile compito di avvicinare separatisti e governo. Se la cancelliera Angela Merkel ha ribadito oggi da Berlino che la crisi ucraina non si può certo risolvere militarmente, in prima linea c’è il ministro degli esteri Frank Walter Steinmeier, in missione tra Kiev e l’Est dell’Ucraina per delineare la griglia di partecipazione al tavole delle trattative, cercando di andare incontro anche a Mosca, da dove si insiste perché le istanze autonomiste siano in qualche modo rappresentate.
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