Dismessi gli abiti del feldmaresciallo che i fan adorano, a tal punto d’averci stampato ogni sorta di maglietta, il futuro presidente egiziano Al-Sisi s’è offerto in giacca e cravatta meticolosamente civili alle telecamere delle emittenti private CBS e ONTV. Una lunga intervista registrata e donata al pubblico televisivo in due tronconi nella fascia serale di massimo ascolto lunedì 5 e martedì 6 maggio. Programma politico, tentativi di assassinio nei suoi confronti, Fratellanza Musulmana alcuni degli argomenti concessi all’amena chiacchierata coi giornalisti Lamis El-Hadidi e Ibrahim Eissa, il genere di comunicatori che piacciono al potere.
Il silenzio dell’innocente – Lo starsene in silenzio e in disparte, ma ben presente nei durissimi mesi della polarizzazione estrema della vita socio-politica del Paese è il tema della prima domanda. Risposta asciutta: “Il silenzio era necessario se dovevo essere un modello per l’Egitto del futuro”, un atto di devozione che contraddice un pochino l’affermazione seguente con la quale l’ex generale nega d’aver preparato un piano che dal rovesciamento di Mursi giungesse all’ipotesi d’una sua presidenza. “Non cerco potere personale, ho accettato di correre per la presidenza solo per accondiscendere alla volontà popolare e quando ho scoperto un disegno per distruggere lo Stato”. A suo dire ogni egiziano responsabile, capace di salvare il Paese dal diventare un bersaglio deve compiere un passo per la patria.
Adesione al volere nazionale – La partecipazione popolare all’ultimo referendum per la Costituzione (39%, ndr) era di per sé un chiaro segnale a sostegno della sua candidatura. Così almeno Sisi lo interpreta. Come l’attenzione che la gente poneva ai documenti diffusi dall’esercito, elementi che l’hanno condotto alla politica attiva. Ma per questa scelta non ha avuto bisogno di nessun benestare dal Consiglio Supremo delle Forze Armate, ha semplicemente comunicato la propria decisione. L’afferma raggiante, col piglio del capo che è stato e del presidente che sarà. Del resto – orgoglio insegue orgoglio – truppa e graduati lo amano, non volevano che lasciasse l’apparato; però un altro amore, addirittura maggiore, per la nazione l’ha spinto verso una decisione annunciata in uniforme e festeggiata da commilitoni e civili.
Popolarità del populismo – A chi lo paragona a Nasser risponde: “Desidero essere come lui, che non è solo un ritratto sul muro (sic) ma un’immagine e una voce scolpita nei cuori” e sentimentalmente ricorda che da giovane decise di aderire all’esercito dopo l’onta della “Guerra dei Sei giorni”. Il programma elettorale ha sterzate di concretezza quando considera che il Paese ha dodici milioni di disoccupati, ottimisticamente afferma che il lavoro ci sarebbe e ci sarà se i concittadini s’impegnano a sostenere lo sviluppo. Riconosce agli egiziani una grande dose di pazienza e li ripaga con la promessa d’introdurre un salario minimo e massimo per i lavoratori, più un incremento dell’assicurazione sociale per i poveri. Mosse possibili se nelle casse dello Stato arriveranno i miliardi ventilati dalle petromonarchie attratte dall’onda securitaria sisiana.
Nel suo futuro un grande passato – Eppure Abd Fattah Khalil cerca di glissare il ruolo di uomo dei Servizi che pure è stato “Focalizzerò il mio progetto sulla sicurezza, ma agirò anche su stabilità e sviluppo, includendo educazione, salute, approvvigionamenti alimentari”. L’ordine e la guerra al terrore rappresentano, in ogni caso, il pezzo forte del programma. Sul fantasma dei Fratelli Musulmani spende poche parole: non solo lui ma tutti gli egiziani rigettano una riconciliazione con la Confraternita. Gli piace (e gli serve) ricordare le minacce di Al-Shater, secondo cui combattenti libici, siriani e afghani sarebbero entrati in Egitto se fosse accaduto qualcosa al presidente Mursi. La risposta è quella che fa gioire i feloul: a ogni sollevazione di armi contro l’esercito cancelleremo lui e i suoi dalla faccia della Terra. Poi azzarda che i terroristi presenti nel Sinai potrebbero essere eliminati in un’ora.
Educazione, religione, etica – “Sono un musulmano che ama nazione, religione e popolo, sono nato in uno dei distretti (Al-Gamalyia) con maggiori diversità culturali” ha ribadito rievocando un Cairo a lui ignoto per ragioni anagrafiche, dove viveva anche una comunità ebraica (ritiratasi dal 1950) e quando nessuno danneggiava gli ebrei che frequentavano la Sinagoga. Ha aggiunto come di domenica la crescita dei rintocchi delle campane nelle chiese sia una cosa normale. “Il discorso religioso nel mondo intero ha privato l’Islam della sua umanità”. E “Nell’Islam c’era uno stato civile, non uno Islamico”. Lo Stato dovrebbe contribuire alla “correzione” morale delle persone usando i media, la famiglia, le istituzioni religiose. “Tutto ciò prenderà tempo, ma noi dovremmo iniziare” e lui si offre nella veste di grande manovratore di tale processo.
Trappole di privacy – Quando le domande scivolano sul personale innesta il tasto sensibilissimo del pericolo: ha rischiato due volte la vita in attentati che non l’allontanano dalla strada e dalla gente. Per il bene comune è propenso a prendere ogni decisione a difesa della sicurezza nazionale, fossero anche norme contro il terrorismo. Tant’è che si vocifera di leggi di polizia già pronte, in attesa dell’elezione. Si difende da certi pruriti del gossip e rivela come la moglie abbia approvato la sua decisione di correre per la presidenza senza battere ciglio. Più scivoloso il discorrere sulla prole. Dei quattro figli, Mahmoud, Mustafa, Hassan, e una ragazza, Aya, i primi due ricoprono rispettivamente il ruolo di Generale dell’Intelligence e Autority di Controllo amministrativa. Ma il papà smentisce qualsiasi illazione d’un interessamento per tali incarichi. Prova della sua contrarietà al nepotismo è il terzo maschio Hassan: ha fallito per due volte l’esame d’ingresso al ministero degli Esteri. Nei due periodi Sisi senior sedeva su scranni potentissimi quale responsabile dell’Intelligence e ministro della Difesa. Maligni e Fratelli sono serviti.
La prossima settimana dagli stessi canali gli risponde, Sabbahi l’altro pretendente, che con la propria candidatura è felice d’offrire legittimità al gioco della nuova democrazia egiziana.
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