Gli insorti delle regioni meridionali e orientali dell’Ucraina hanno votato ieri, all’interno dei consigli di governo creati negli ultimi mesi in contrapposizione alle istituzioni golpiste di Kiev, per la conferma del referendum sull’autodeterminazione convocato per l’11 maggio e che nella giornata di ieri il presidente russo Vladimir Putin, nel tentativo di offrire una sponda all’Unione Europea contro l’escalation promossa da Washington, aveva ‘consigliato’ di rimandare. La decisione di confermare la consultazione popolare a Donetsk, Lugansk e altre località insorte – anche se in alcune l’occupazione da parte delle truppe di Kiev e dei nazisti la renderà simbolica se non impossibile – è stata decisa all’unanimità dai rappresentanti delle comunità russofone dell’est del paese, a dimostrazione di una contraddizione crescente con gli obiettivi di Mosca che finora ha sostenuto le Repubbliche Popolari ma che ha già firmato a Ginevra un patto che prevedeva il disarmo delle milizie di autodifesa e che ora, in nome di un compromesso con Bruxelles che freni l’aggressione statunitense, potrebbe pensare di utilizzare le sorti delle regioni orientali dell’Ucraina come merce di scambio.
Un portavoce dei ribelli ucraini, Denis Pushilin, durante una conferenza stampa ha ringraziato la Russia e il presidente Putin per i suoi sforzi diplomatici, ma ha poi chiarito che la scelta di tenere un referendum sull’autodeterminazione delle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina non è appannaggio dei leader ‘filorussi’ ma del ‘popolo del Donbass’ al quale verrà chiesto domenica – golpisti ucraini permettendo – se appoggiano o meno l’indipendenza dei loro territori. In caso di vittoria del ‘si’, ha affermato il copresidente del governo della Repubblica Popolare di Donetsk, Miroslav Rudenko, ha assicurato che cinque regioni (Donetsk, Lugansk, Járkov, Odessa e Nikoláyev) daranno vita a un nuovo Stato indipendente che prenderebbe il nome storico di “Novorossia” (Nuova Russia, come erano denominati quei territori prima della formazione dello stato ucraino).
Il leader russo Putin sembra avere invece altre priorità, affermando che è venuto il tempo di “creare le condizioni necessarie al dialogo” a partire da un posticipo del referendum che potrebbe diventare di fatto un annullamento. Da parte sua il leader di Mosca ha anche ribadito la sua richiesta alle autorità di Kiev affinché pongano fine all’offensiva militare contro gli abitanti di Slaviansk e delle altre città assediate, promettendo un rapido ritiro delle forze russe schierate al confine con l’Ucraina. Ma il regime nazionalista ha già risposto picche affermando di non aver mai intrapreso spedizioni punitive nelle regioni del sudest e di non esser disponibile ad avviare alcuna trattativa con quelli che continua a definire i ‘terroristi’ e i ‘separatisti’. Inoltre il ministero della Difesa, ha promesso la continuazione delle operazioni militari contro le città insorte fino a che il controllo sull’area non verrà ripreso. Secondo il titolare del dicastero, Andrei Parubji – tra i fondatori del Partito NazionalSocialista Ucraino, diventato poi Svoboda e parte del governo attuale – che l’offensiva contro i ribelli in rivolta proseguirà anche se dovesse essere rinviato il referendum sulla secessione in programma per domenica. «L’operazione antiterrorista andrà avanti indipendentemente dalla decisione presa dai gruppi sovversivi o terroristi nella regione di Donetsk» ha detto il capo del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale parlando con i giornalisti a Kiev.
Secondo quanto riferisce l’agenzia russa Itar-Tass, durante la notte alcuni sconosciuti – probabilmente miliziani di Settore Destro – hanno fatto irruzione all’interno di una tipografia di Donetsk e sono riusciti a distruggere circa 800 mila schede elettorali stampate in vista della consultazione di domenica, e a danneggiare seriamente la rotativa. Un episodio simile, con la distruzione di 300 mila schede elettorali, viene riferito anche per quanto riguarda un’altra tipografia sempre di Donetsk.
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