Il governo di Israele continua con le misure punitive nei confronti del nuovo governo di unità nazionale nato dall’accordo tra Fatah e Hamas, e incrementa la colonizzazione ebraica dei territori palestinesi occupati. Una misura non solo di rappresaglia, ma anche tesa ad accelerare i tempi di colonizzazione di Gerusalemme e di altre aree strategiche per Israele in vista di un possibile cambiamento della scena internazionali verso equilibri meno tolleranti nei confronti dell’espansione sionista nei territori arabi.
Il governo del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha annunciato ieri il via libera alla costruzione di altre 3.300 case per coloni. Il premier ha sbloccato 1.800 nuove unità abitative la cui costruzione nei territori palestinesi occupati era stata congelata negli ultimi tre mesi, mentre qualche ora prima il ministero degli Insediamenti aveva pubblicato 1.500 nuove gare per la realizzazione di altrettante unità abitative in Cisgiordania e a Gerusalemme est, decisione definita dal ministro Uri Ariel la «giusta risposta sionista alla formazione del governo palestinese del terrore».
La nuova misura annunciata da Netanyahu – riferisce il quotidiano israeliano “Haaretz” – dovrebbe portare al completamento dei lavori per 550 nuove unità a Bruchin, 381 a Givat Ze’ev, 40 a El Matan, 38 a Kochav Ya’akov, 25 ad Alfei Menasheh, 54 a Tzofit e 10 a Oranit. I lavori per altre 683 unità nella colonia di Alei Zahav saranno inoltre portati allo stadio avanzato, l’ultimo prima della messa in vendita delle case.
Naturalmente non si è fatta attendere la reazione delle forze palestinesi. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) ha annunciato che ricorrerà al Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea Generale dell’Onu contro la decisione del governo israeliano, ha annunciato una sua portavoce, Hanan Ashrawi, membro del Consiglio Nazionale Palestinese cui spetta eleggere il Comitato Esecutivo della stessa Olp. Quest’ultimo, ha sottolineato la signora Ashrawi, “considera con la massima gravità l’ennesima mossa israeliana per acuire la tensione, e la contrasterà rivolgendosi sia al Consiglio di Sicurezza sia all’Assemblea Generale dell’Onu, come mezzo appropriato per mettere un freno a una violazione tanto grave, e garantire che i responsabili ne rispondano”.
Nel frattempo fonti riservate vicine al nuovo governo Fatah-Hamas hanno riferito che “la dirigenza palestinese sta valutando seriamente l’ipotesi di adire le corti internazionali contro le attività di costruzione negli insediamenti”: un’opzione resa possibile dall’ottenimento dello status di osservatore al Palazzo di Vetro da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, in occasione della penultima sessione ordinaria dell’Assemblea, nel settembre 2012 a New York. Opzione che l’Anp si era impegnata a non utilizzare finché fossero proseguiti i negoziati con Tel Aviv, ripresi nel luglio 2013 grazie alla mediazione Usa dopo tre anni di totale paralisi, ma falliti per essere stati abbandonati di nuovo da Israele dopo il raggiungimento dell’accordo tra le due principali forze politiche palestinesi il 23 aprile scorso.
“E’ tempo che Israele sia chiamata a rispondere davanti agli organismi internazionali e sulla base del diritto internazionale”, ha commentato al riguardo Saeb Erekat, il capo negoziatore dell’Anp. “Chi teme le corti internazionali”, ha aggiunto Erekat, “deve porre fine ai propri crimini di guerra a danno del popolo palestinese, il primo e principale tra i quali sono proprio gli insediamenti”. Erekat ha quindi chiesto alla cosiddetta ‘comunità internazionale’ di bandire i prodotti realizzati da Israele nelle colonie e di non finanziare le imprese coinvolte nell’occupazione israeliana.
Inoltre, forti del sostegno seppur tiepido manifestato dagli Stati Uniti al loro nuovo governo unitario, i rappresentanti palestinesi non hanno esitato a chiedere a Washington d’intraprendere “mosse serie” nei confronti dell’ennesimo ‘strappo’ d’Israele su un tema così cruciale come la colonizzazione. “E’ tempo che l’amministrazione americana adotti passi seri contro ciò che il governo israeliano sta facendo”, ha affermato Nimr Hammad, consigliere politico di Abu Mazen, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese nonché leader di Fatah.
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