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Brasile. “Da venti anni la sinistra pensa solo alle elezioni”

Una intervista a Joao Pedro Stèdile, leader storico del Movimento dei Sem Terra brasiliani.

Da alcuni mesi, o anni, João Pedro Stédile, uno dei principali dirigenti del MST ripete alcuni avvertimenti dirette alla sinistra brasiliana, legate all’evoluzione della congiuntura politica nazionale e internazionale. Una di queste consiste nel mettere in guardia sull’importanza di non ridurre la lotta politica a lotta elettorale e non soccombere alle trappole della politica tradizionale, per esempio accettando il finanziamento privato delle campagne come un modo naturale di gestire la politica.
La crisi politica, iniziata dopo la rielezione di  Dilma Rousseff e l’offensiva dell’opposizione e dei settori più conservatori del paese con l’obiettivo di travolgere la presidenta eletta con il voto popolare, hanno rimesso questi avvertimenti all’ordine del giorno.
Venerdi scorso, Stedile era a Porto Alegre per partecipare a un dibattito all’apertura del  14º Congresso della CUT del Rio Grande del Sud. Nella intervista a Sul21, Stedile ha parlato dell’intreccio delle tre crisi presenti oggi -economica, politica e sociale -, delle mosse dei principali protagonisti e delle loro possibili evoluzioni. E ha indicato quella che ritiene essere la sfida più grande per la sinistra in questo periodo: “Costruire una forza popolare organizzata. La sinistra ha disimparato a fare il lavoro di base, a coscientizzare il popolo, a fare piccole riunioni. Da 20 anni la sinistra pensa solo alle elezioni. Ha detto Stedile.
 
 
Sul21: Durante l’ultima settimana abbiamo avuto una nuova serie di manifestazioni contro e a favore della presidenta  Dilma Rousseff e la denuncia contro il presidente della camera dei deputati Eduardo Cunha (PMDB-RJ). Secondo lei, come incidono questi eventi sull’attuale clima di instabilità politica che segna la congiuntura nazionale?

 
João Pedro Stédile: Il Brasile sta vivendo un periodo molto confuso e complesso, in cui ogni settimana vengono fuori fatti che rendono ancora più complicata la lettura della congiuntura, tra i quali si inseriscono gli episodi che ha citato nella domanda. Questa complessità, nella valutazione del MST e dei movimenti sociali nel loro insieme, si deve al fatto che stiamo vivendo un periodo in cui si intrecciano tre crisi.
C’è una crisi economica che colpisce l’economia brasiliana che non cresce da due anni e starà ancora un paio d’anni senza crescere, con un forte processo di deindustrializzazione, che già si riflette anche nella classe lavoratrice, con aumento della disoccupazione e diminuzione del salario medio. C’è anche una crisi sociale, la cui punta dell’iceberg è comparsa nelle proteste del giugno 2013.  Il governo ha adottato una retorica di dialogo; tuttavia, tutti quei problemi sociali che erano il substrato delle mobilitazioni, non sono stati risolti, al contrario. I problemi della casa, del trasporto pubblico, dell’accesso all’università, tutti si sono aggravati. Questa crisi sociale non è ancora esplosa, è latente, ma c’è.
E infine la crisi politica, la cui origine è il sequestro della democrazia brasiliana, operato dai capitalisti attraverso il finanziamento privato delle campagne elettorali. Le dieci maggiori imprese del paese hanno finanziato circa il 70% dei parlamentari, processo questo che ha generato i Cunha e i suoi 300 alleati. Oggi, la popolazione non si riconosce nei politici. Diverse ricerche di opinione indicano che i politici hanno l’indice di credibilità più basso.  Quindi esiste una dicotomia. Quel che avviene in campo politico non si riflette nella società o si riflette negativamente.
Tutti giorni vediamo i segni di queste tre crisi. Se leggiamo Valor Econômico, per esempio, vedremo i riflessi della crisi economica. Se consultiamo i movimenti popolari, li sentiremo parlare dei problemi sociali che stanno crescendo. E in politica, come ha detto, ogni giorno vengono fuori nuovi fatti.
 
Sul21: E quali sono secondo lei, i possibili sviluppi di questo intreccio di crisi ?

João Pedro Stédile: La difficoltà di uscire da questa crisi generale è che le classi ancora non si sono messe d’accordo su cosa fare. Sarebbe necessario creare un nuovo blocco storico e sociale che si costituisse in una maggioranza capace di trovare una via d’uscita. Questo, in generale si verifica nei periodi elettorali. Il problema è che non siamo appena usciti da un’elezione. Quindi noi avremo  i prossimi quattro anni – tutto il governo Dilma – per trovare questa maggioranza e questo è il problema.
In questi tentativi di uscire dalla crisi, che cosa sta venendo alla luce? La borghesia, nel senso classico del termine, più conosciuta come gli imprenditori e il potere economico, ha già presentato le sue proposte di uscita. Non è un programma formalizzato, ma viene presentato nelle sue riunioni e interventi. Questa proposta consiste nel riallineare l’economia brasiliana agli USA, che è stato un po’ quanto è successo nel 1964. L’idea è che gli americani vengano qui, investano e tirino l’economia fuori dalla crisi, ampliando il mercato per le imprese brasiliane che entrerebbero in modo subalterno in una relazione con l’economia industriale nordamericana. In secondo luogo, consiste nel diminuire il ruolo dello Stato, che oggi si esprime nelle proposte di tagliare le spese sociali, di diminuire il numero dei ministeri, di diminuire le spese per la Previdenza ecc. In realtà si vuol tornare alla vecchia tesi che è il mercato che risolve. In terzo luogo diminuire il costo della manodopera. Questo è il loro programma, che ancora non può essere reso esplicito, poiché, in sostanza, questo programma è il neolibersmo, che è stato sconfitto nelle ultime quattro elezioni. Non possono semplicemente ripresentarlo, devono indorare la pillola.
Quindi, la borghesia sta facendo questo movimento per tentare di costruire una maggioranza intorno al suo programma. Come fanno a farlo?  Mettendo all’ordine del giorno queste proposte nel Congresso nazionale. Tutte le iniziative del blocco di  Eduardo Cunha vanno in questa direzione: diminuire i costi, diminuire lo Stato, privatizzazioni, aprire l’economia e riavvicinarla agli USA. Oltre a questo, si appoggiano anche al  sistema Giudiziario e ai maggiori media commerciali, dei quali grande portavoce è la rete Globo. Questo movimento rappresenta il maggior grado di unità che sono riusciti a costruire fino ad oggi, con espressioni della Firjan (Federação das Indústrias do Rio de Janeiro), di Renan Calheiros, presidente del Senato, e con settori del PSDB. Sono assolutamente convinto, in seguito alla recente intervista di   Mendonça de Barros, che Serra e Alckmin, anche se non possono esprimersi pubblicamente, concordano con questo programma. Ma non possono comparire.
 
Sul21: Lei ha parlato del movimento che stanno organizzando i grandi imprenditori e i loro rappresentanti politici per superare la crisi. Quanto agli altri settori della società, è possibile intravvedere qualche mossa alla ricerca di vie d’uscita dai problemi attuali?   
 
João Pedro Stédile: C’è un altro segmento, la cosiddetta classe media, o piccola borghesia come la chiamava Marx. Stiamo parlando di quella classe media che Marcio Pochmann nomina nell’Atlante dell’Esclusione Sociale, che  – per il reddito che ha –  rappresenta tra il 5 e il 10% della popolazione e che sogna di diventare un giorno borghesia. Qual è il programma che questa classe media presenta per uscire dalla crisi? Un golpe contro Dilma! Ma questo non è un programma, non risolve nessuna delle tre crisi. Per questo, la borghesia che è più esperta, sta dicendo loro: Calma, voi potete stare a ululare nella Paulista, a Copacabana, ma questa non è la via d’uscita dalla crisi. 
Lo stesso Temer ha detto loro questo quando ha affermato che non serviva metterlo al posto di Dilma poichè la crisi ha radici diverse. Al contrario, se ci fosse un golpe istituzionale, si creerebbe una quarta crisi, una crisi istituzionale, che porterebbe i movimenti sociali e popolari nelle strade. Questo scombinerebbe tutte quelle regole dello Stato borghese che, al di là della crisi politica, tutti continuano a rispettare. Se succedesse questo, perchè non potremmo per esempio chiedere l’impeachment di Sartori o di  Alckmin, le cui campagne sono state anch’esse finanziate da imprese private? Quindi la via d’uscita di questa classe media è stupida. La nostra fortuna  e anche la loro è che rappresentano una frazione molto piccola della società. E’ per questo che le loro mobilitazioni non sono cresciute. E le fanno sempre di domenica, no? E’ molto più un festival, al quale hanno diritto, piuttosto che una vera battaglia politica.
Dal lato di qua abbiamo la classe lavoratrice che non sta riuscendo a presentare un programma di uscita dalla crisi. In questo momento, le direzioni di organizzazioni come la CUT, la UNE, il MST, i movimenti di lotta per la casa stanno tentando di costruire una agenda comune. Quello che siamo riusciti a costruire unitariamente fino ad oggi è un programma difensivo, contro il golpe in difesa dei diritti, contro il neoliberismo, ossia una difesa del passato e non passi in avanti come vorremmo. Quindi, anche per la classe lavoratrice, è difficile costruire un programma propositivo capace di riprendere l’offensiva in direzione dei cambiamenti che sosteniamo. Questa è una difficoltà reale e siamo a questo punto.
 
Sul21: Ci sono prospettive di superare queste difficoltà?

João Pedro Stédile: Spero che, nei prossimi mesi, riusciremo ad avanzare nella direzione  di questa unità della classe lavoratrice, per costruire un programma non difensivo, ma che presenti proposte per l’uscita dalle crisi economica, politica e sociale. Forse abbiamo raggiunto già una certa unità rispetto alla crisi politica, sostenendo una Riforma Politica da costruire attraverso un’Assemblea Nazionale Costituente. Questo Congresso non farà questa riforma e i partiti non hanno la forza di approvarla nello scenario attuale. Alla fine, la via d’uscita di un programma costruito dalla classe lavoratrice dipende da una componente ancora non scesa in scena, che è la classe lavoratrice che si mobiliti e vada in strada. Fino ad ora, sono scesi in strada i mediatori, i militanti. La grande massa resta seduta a casa sua guardando tutto alla tv. Per questo, anche le nostre mobilitazioni hanno mantenuto le stesse dimensioni.
Comunque questa massa e le nostre mediazioni hanno un’arma potente che non è ancora stata usata: lo sciopero generale che colpisce direttamente il profitto dei capitalisti. La prospettiva di fermare la produzione un giorno, due giorni, una settimana, genera panico nella borghesia. Alla fine è la loro maggiore paura. Per questo non vogliono vedere il circo prendere fuoco, perchè la plastica cadrebbe anche sulle loro teste.
 
Sul21: Lei ha parlato di alcune organizzazioni che stanno cercando di costruire una agenda comune, ma non ha menzionato nessun partito politico. Considerando che il partito che sta governando il Brasile da 13 anni attraversa una seria crisi politica e gli altri partiti di sinistra sembrano non avere la forza di presentare un’alternativa, la congiuntura sta chiamando i movimenti sociali a assumere un maggior protagonismo,  sull’esempio di quanto è accaduto in Bolivia qualche anno fa?
 
 
João Pedro Stédile: É evidente che i partiti politici in Brasile, tanto quelli della borghesia, quanto quelli della sinistra, sono in crisi. Quelli della borghesia sono stati sostituiti dalla Globo. Chi dirige ideologicamente le idee della destra in Brasile è la Globo. I dirigenti dei partiti della destra brasiliana sono  completamente screditati, gli Eduardo Cunha, i Ronaldo Caiado.
E la sinistra ha bisogno di fare un’autocritica seria, perché è caduta nell’elettoralismo e, anche in questa sfera, non si è preoccupata di sostenere una riforma politica. Invece ha fatto il gioco della borghesia, abbracciando il finanziamento privato delle campagne e cadendo nella trappola come mostra Lava Jato.  Se non cambieranno le regole politiche, non sarà dall’interno dei partiti che verrà la soluzione. I partiti si sono già compromessi.  Una riforma politica ringiovanirebbe i partiti, ma questi non hanno la forza per far andare le masse in strada in difesa di questa riforma. Quindi, questo potrà essere fatto solo per mezzo di un’ampia coalizione di tutte le forze popolari, con tutte le forme di organizzazioni di cui la classe lavoratrice dispone, siano pastorali, sindacati, movimenti popolari, partiti, ecc.
Ora non è il momento di discutere chi sarà protagonista, ma di unire tutte le forze per fare una discussione nella società e insieme alle nostri basi su quali sono le possibili vie d’uscita dalla crisi che è in corso ed è innegabile.
Io non so come sarà questa via d’uscita. Dipenderà dai rapporti di forza e dalla dinamica della lotta di classe. Ritengo assolutamente sbagliato voler copiare degli esempi. Ho sentito alcune persone, che dicono che dobbiamo seguire l’esempio della Podemos spagnola, o della greca Syriza. La storia della Spagna è diversa e Tsipras è durato solo tre mesi. Quindi, ogni paese ha una sua dinamica e, noi brasiliani, dovremo inventare la nostra. Dobbiamo osare, inventare. Quando vogliamo copiare, sbagliamo. Abbiamo voluto copiare il modello del finanziamento privato delle campagne. Ha prodotto quello che vediamo. La cosa principale è che dobbiamo avere il coraggio di  portare questa discussione tra le masse e fare sì che si mobilitino e decidano di scendere in strada, creando una effervescenza, un nuovo dinamismo nella politica brasiliana. Nel mezzo di questa effervescenza, sorgeranno nuovi dirigenti. Non serve guardare indietro, cercando dove sono i leader del passato. La dinamica della lotta di classe forgerà nuovi dirigenti e anche nuove forme di organizzazione.
 
Sul21: Secondo te, c’è una crescita di idee e valori conservatori in Brasile, di una destra più organica e estremista o è molto fumo quello che sta apparendo nelle strade?

João Pedro Stédile: Io penso che c’è molto fumo. Nelle radici del popolo brasiliano ci sono energie molto sane. Il popolo brasiliano è solidale, lavoratore e dignitoso. Ora questo fumo è il risultato dell’egemonia ideologica della borghesia nei mezzi di comunicazione. La Globo è la principale responsabile della diffusione di questi falsi valori, di questo negativismo, che afferma che tutti sono corrotti. Diffonde queste idee e valori tutti i giorni, nelle sue telenovelas, nei suoi notiziari. Dobbiamo cercare la causa di questo fumo che nasconde la realtà. E noi non abbiamo mezzi di comunicazione di massa alternativi. Lottiamo in trincea, con un foglio qui, un bollettino lì. Non abbiamo un mezzo di comunicazione nazionale che riesca a intraprendere questo dibattito con la società. Quel che sta mancando nella società brasiliana è il dibattito sui suoi problemi e le possibili soluzioni.
 
Sul21: In questo momento, ci sono vari gruppi che si riuniscono e discutono sulla necessità di formazione di nuovi fronti di sinistra e dei settori progressisti della società. Questi gruppi parlano tra loro?

João Pedro Stédile: Dal punto di vista della diagnosi, tutti danno una lettura comune, ossia che la crisi è grave, complessa e durerà. Ma non c’è unità rispetto alle possibili vie d’uscita. Non c’è un programma. Dal punto di vista di come le varie forze si stanno muovendo, credo che avremo vari fronti. Noi stiamo collocando energia nella costruzione di quello che già ha un nome, Fronte Brasile Popolare, che unisce – tra gli altri – partiti tradizionali, movimenti popolari, la UNE, il Levante Popular da Juventude, le pastorali. Faremo una conferenza nazionale il 5 settembre a Belo Horizonte,  per vedere se andiamo avanti nel nostro programma. Ma, credo che altri gruppi di sinistra formeranno altri fronti, alcuni perché hanno una vocazione più elettoralistica e vogliono approfittare di questa crisi del PT.
Tuttavia, non credo che un fronte di sinistra con una limitata base sociale, per quanta chiarezza ideologica possa avere, riesca ad accumulare forze. Ora, più che sapere dove vuoi andare, è importante avere forza sociale accumulata. E in periodi di crisi, per avere questa forza sociale accumulata, bisogna poter contare su tutti quelli che vogliono i cambiamenti, senza esclusioni ideologiche. Nel caso del Fronte Brasile Popolare, lo spettro di forze con il quale stiamo lavorando, è quello di chi ha votato Dilma al secondo turno, che non sono pochi. Se riusciremo a raccogliere in un fronte circa 54 milioni di brasiliani, avremo una forza sufficiente per spingere a cambiamenti dentro il governo e a prepararci per il dopo-Dilma.
 
Sul21: Un’ultima domanda. Se fosse possibile definire con una frase la sfida principale della sinistra brasiliana oggi, quale sarebbe secondo te?

 

João Pedro Stédile: Costruire una forza popolare organizzata. La sinistra ha disimparato a fare il lavoro di base, a coscientizzare il popolo, a fare piccole riunioni. Da 20 anni la sinistra pensa solo alle elezioni. Dobbiamo smettere un po’ di pensare alle elezioni. Non che le elezioni non siano importanti. Certo che sono importanti, poiché fanno parte della democrazia. Abbiamo discusso molto con Tarso Genro, nel senso che la sinistra deve recuperare di più Gramsci. Visto che ha vissuto in un momento di crisi del movimento operaio italiano, ha fatto riflessioni appropriate al periodo che stiamo vivendo. Uno, tra i vari contributi di Gramsci, è la visione che, nella lotta per i cambiamenti sociali, la lotta di classe si manifesta in tutti gli spazi della vita sociale. In una radio comunitaria, in un sindacato, in un quartiere, in una chiesa, in un giornale, in una fabbrica, nel commercio, in una piazza. Tutti sono spazi di disputa. E noi, nel recente passato, abbiamo ridotto tutto questo a sola disputa elettorale.
Dobbiamo preparare la classe lavoratrice perché possa combattere, con le sue idee, in tutti gli spazi della vita sociale, poiché tutto questo è potere politico, non solo il governo. Per questo dobbiamo anche recuperare il lavoro di formazione dei militanti che la sinistra ha abbandonato. C’è una gioventù senza prospettive. La formazione politica è il matrimonio permanente tra la lotta di massa e la formazione teorica. E la sinistra non ha fatto nessuna delle due cose in quest’ultimo periodo. La lotta di massa è stata ridotta alle elezioni e la formazione teorica è stata abbandonata. Per fortuna, la destra sta stimolando in reinserimento nel nostro programma dell’importanza della lotta di massa. Se non saremo in strada a disputare con loro ci sconfiggeranno.

* Da Sul21, 24 agosto
 
(traduzione Serena Romagnoli)

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