Rieccola. Come fa notare giustamente Leonardo Maisano oggi sul pragmatico Il Sole 24 Ore, le due principali crisi in atto sullo scacchiere mondiale – Ucraina e Iraq-Siria – hanno resuscitato un’Alleanza militare tra Stati Uniti e partner europei che negli ultimi anni era quasi scomparsa dalla scena, tenuta in naftalina dall’emergere del protagonismo dell’Unione Europea e dall’intervento diretto di Washington.
Nel giro di pochi mesi l’Alleanza Atlantica è tornata prepotentemente – e tristemente – protagonista della scena internazionale decidendo una serie di passi che hanno riportato il pianeta verso una Guerra Fredda che sembra assai più ‘calda’ di quella teoricamente chiusa alla fine degli anni ’80.
Vedremo oggi quali saranno le decisioni adottate formalmente dalla Nato riunita a Newport, in Galles, in un vertice che è quasi una banalità ormai definire ‘storico’, ma il quadro sembra già chiaro grazie alle anticipazioni e alle dichiarazioni bellicose della vigilia.
I nemici da battere sono due, uno reale – la Russia (e la Cina, anche se non viene nominata) – e uno di comodo – l’Isis prima tollerato e pasciuto dalle petromonarchie arabe ma anche dalle potenze occidentali – ed oggi strumentalmente descritto come un pericolo per l’Occidente (il che non vuol dire che le bande jihadiste non rappresentino veramente un problema).
Nel giro di poche settimane l’Alleanza Atlantica ha deciso di militarizzare ulteriormente il proprio confine orientale inviando migliaia di uomini e mezzi nelle Repubbliche Baltiche, in Polonia e in Romania, paesi dove verranno realizzate nuove basi definite temporanee ma in realtà di valore strategico. Nel maggio scorso il Congresso statunitense ha già concesso a Obama un pacchetto da 1 miliardo di dollari che sotto il nome di ‘European Reassurance Initiative’ prevede il rafforzamento delle esercitazioni militari congiunte, delle attività di addestramento e dello stazionamento “temporaneo “di truppe ed istruttori statunitensi, nonché della presenza della Marina statunitense nel Mar Baltico e nel Mar Nero, il tutto allo scopo di ‘rassicurare’ i paesi minacciati direttamente da quello che viene descritto come l’espansionismo russo.
Una violazione sfacciata del Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security, il trattato del 1997 tra Nato e Russia che prevedeva, tra le altre cose, l’impegno ferreo da parte dei contraenti a non realizzare basi e missioni militari permanenti nell’Europa Orientale in modo da non minacciare i firmatari del trattato.
Inoltre Bruxelles ha intenzione di varare una ‘Forza di reazione rapida’ composta da quattromila uomini in grado di intervenire ad est – contro Mosca, ovviamente – in caso di necessità; come se non bastasse la Nato dichiara l’intenzione di assorbire l’Ucraina in tempi non lunghi, allungando i propri tentacoli al di là della frontiera decisa nel 1997 con la Russia, e di inviare migliaia di militari e mezzi in delle esercitazioni sul suolo di Kiev che appaiono una aperta provocazione nei confronti di Mosca. Senza dimenticare che la manovra a tenaglia di Washington contempla, dall’altro lato del globo, un rafforzamento da tempo in atto dello schieramento militare statunitense nel Pacifico in funzione principalmente anticinese ma comunque minaccioso anche per la Russia.
Da una parte i leader riuniti a Newport si dicono fiduciosi sul possibile varo di un ‘cessate il fuoco permanente’ tra regime ucraino e insorti del Donbass, e dall’altro mettono in campo una mostruosa macchina militare che trascina il continente europeo in una spirale di scontro frontale con la Russia le cui conseguenze sono imprevedibili e foriere di sventura. Eclatante il doppiogiochismo del governo Renzi, che con la ministra Mogherini – recentemente designata alla carica di Mrs Pesc – continua a insistere sul fatto che la soluzione del conflitto con Mosca in Ucraina non potrà che essere di ‘natura politica’ e dall’altra insiste sulle sanzioni contro la Russia che oltretutto penalizzano la già asfittica economia italiana e annuncia che uomini e mezzi militari di Roma parteciperanno alle manovre militari della Nato agitate sotto il naso di Putin.
E’ con incredibile cinismo e faccia tosta che il segretario uscente della Nato afferma, riferendosi all’intervento russo in Ucraina, afferma che “per la prima volta dalla seconda guerra mondiale in Europa un Paese ha cercato di conquistarne un altro». Anche ammesso che quello di Mosca in Donbass sia da considerare un intervento militare equiparabile ad un’invasione, Stati Uniti ed Europa negli ultimi decenni non hanno fatto altro. E d’altronde l’Alleanza Atlantica si appresta ad intervenire anche in Iraq, ma “solo se il governo di Baghdad ce lo chiederà”. Nel frattempo, ai raid e ai più di 1000 soldati di Washington schierati nuovamente nel nord dell’Iraq dovrebbero unirsi forze militari britanniche, francesi ed anche di altri paesi europei.
Le cronache degli inviati in Galles descrivono un vertice tutto sommato unitario, concorde, quasi corale.
In realtà tra Washington e Parigi-Roma-Berlino esistono differenze di vedute rispetto ai tempi e ai modi dell’escalation nei confronti del gigante russo – sulle nuove sanzioni chieste da Obama, ad esempio – ma per ora sembra che si stia andando verso una strategia comune di compromesso. Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Ben Rhodes, ha confermato che gli Usa stanno studiando nuove sanzioni e che dovrebbero essere coordinate con quelle che l’Unione europea sta mettendo a punto in queste ore. Scrive efficacemente Leonardo Maisano: “Nonostante qualche resistenza francese, la Germania è stata esplicita. «Siamo pronti – ha detto il Cancelliere Angela Merkel – a mettere tutto il peso di nuove sanzioni economiche sulle nostre domande politiche»”.
Il vero nodo della discordia tra i due ‘corni’ della Nato per ora sembra quello economico, con gli americani che insistono con gli europei affinché investano più risorse nel comparto militare e contribuiscano maggiormente ad un bilancio che per ora è stato coperto in buona parte da Washington. Se l’Ue vuole contare nelle decisioni e nelle missioni – sembra il messaggio neanche troppo recondito del Pentagono – occorre che adegui il suo contributo finanziario alla macchina bellica in via di rafforzamento. Varare il Piano di prontezza operativa (readiness plan) propedeutico alla formazione della Forza di Intervento Rapido costerà ai 28 partner dell’Alleanza un esborso non indifferente. Ad ogni paese si richiede quindi un impegno pari ad almeno il 2% del proprio Pil contro ad esempio lo 0,8% dedicato ufficialmente dall’Italia alla Difesa (in realtà il contributo è maggiore contando i comparti del settore coperti da ministeri diversi).
Resta ora da capire come l’Unione Europea coniugherà lo storico progetto di dotarsi di un esercito unitario e di un comparto militare industriale indipendente – già avviati, e in alcuni casi a buon punto – con il rinnovato impegno all’interno di una struttura della Nato che nei prossimi anni si allargherà. Sul terreno restano, come dei veri e propri macigni, i recenti ‘screzi’ tra Berlino e Washington a proposito di spionaggio e guerra tecnologica. Inoltre l’Unione Europea ed in particolare Berlino saranno disposti a sacrificare del tutto la collaborazione economica con Mosca in nome di un muro contro muro che fa più gioco a Washington che a Bruxelles?
Come si concluderà questo ‘storico summit della Nato’ lo vedremo tra qualche ora – anche sull’onda del raggiungimento o meno di un accordo a Minsk sulla guerra civile ucraina – ma comunque vada ricorderemo quello di Newport come un vertice di guerra.
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