Torno oggi da Beirut, dove sono stata insieme al Comitato Per non dimenticare Sabra e Shatila a ricordare il massacro del 1982 nel campo profughi alla periferia della capitale libanese. Quel settembre, Israele aveva appena invaso il Libano e Arafat aveva appena lasciato il paese, diretto in Tunisia, così come concordato – morirono barbaramente torturati circa 3000 tra palestinesi e libanesi circondati dentro il misero spazio che era stato assegnato ai profughi palestinesi del 1948 e del 1967. Gli israeliani controllavano il campo mentre i falangisti facevano i macellai dentro. Fu una imboscata che Ariel Sharon architettò per far capire al mondo che per loro i Palestinesi dovevano morire tutti. Quel crimine, come tanti precedenti e poi successivi, è rimasto impunito.
Oggi i campi profughi sono dodici e vivono grazie alla sola assistenza dell’Agenzia delle Nazioni Unite (UNRWA) creata appositamente per il sostegno dei profughi della Palestina (nel 1948 Israele impose che l’Agenzia internazionale dei profughi non si occupasse dei Palestinesi perché la politica di questo organismo dell’Onu prevedeva il rientro dei profughi nei loro paesi di origine, proprio come fece con i profughi ebrei cacciati dalle loro case dal nazismo).
Dal settembre del 2000 vado a Beirut insieme al Comitato fondato da Stefano Chiarini ed è sorprendente vedere ogni volta le facce scosse dei nuovi partecipanti che vengono a contatto con la realtà dei campi profughi. E’ un viaggio che consente di entrare in contatto con le radici della questione Palestinese (sarebbe meglio chiamarla questione israeliana, come suggeriva Edward Said), cioè l’annessione illegale dei territori della Palestina da parte delle forze Sioniste.
La condizioni dei profughi palestinesi oggi in Libano è peggiore di sempre perché sono loro, tra l’altro, che ospitano nei loro campi molti rifugiati di altri paesi, in fuga dalle guerre scatenate dai terroristi del Daesh, l’acronimo arabo di Isis (Stato Islamico dell’Iraq e della Grande Siria, o solo Is, Stato Islamico), allevati, finanziati e tutt’ora coltivati da molti paesi arabi e occidentali – in funzione anti-Assad, l’obiettivo numero uno dell’alleanza guidata dagli Usa, oltre a quello storico della divisione dell’Iraq. Nel solo campo di Chatila, dove le condizioni di vivibilità sono disumane, direi allucinanti, in pochi mesi la popolazione è cresciuta da circa 17 mila persone a 25 mila: l’impatto è terribile. Non ci sono aria, luce, spazio, futuro, ci sono sporcizia e disperazione.
Due notazioni. I Palestinesi hanno dato in Libano un contributo importante alla lotta al terrorismo: nel 2007 accettarono la totale distruzione del grande campo di Nahr El Bared, situato vicino Tripoli, uno dei più integrati e autonomi economicamente, per consentire all’esercito libanese di stanare i terroristi di Fath Al Islam, un gruppo di fondamentalisti già attivo all’interno di quella che oggi conosciamo come Isis. Noi del Comitato Per non dimenticare Sabra e Shatila vedemmo nell’agosto di quell’anno la distruzione del campo che era stata davvero vasta e dolorosa, oggi abbiamo visto gli sforzi per la sua ricostruzione, realizzata per metà. I Palestinesi allora diedero un grande esempio di responsabilità e di impegno, accettando loro, profughi senza casa e senza diritti, nuovi drammi, pur di consentire la caccia ai terroristi, consapevoli che questi criminali sono un nemico di tutti, del Libano, della democrazia. Ora il governo libanese e la comunità internazionale non li stanno sostenendo adeguatamente nella ricostruzione: e questa è un’ulteriore grave ingiustizia nei confronti di questo popolo.
Il Libano. Da mesi senza governo e senza presidente della Repubblica, è un paese piccolo, diviso in varie confessioni religiose che si spartiscono le istituzioni in base ad una rigida divisione – una grave ferita per la democrazia che però a suo tempo fu introdotta come garanzia per superare la guerra civile. Dai molti nostri interlocutori, tra cui Talal Salman, direttore del giornale indipendente As Safyr, il rischio di infiltrazioni terroristiche è sempre dietro l’angolo ma non così pressante. Se questo è un bene, tuttavia va considerato un aspetto inquietante per chi vive in questo paese e per tutto il Mediterraneo: gli Stati Uniti e i loro alleati stanno puntando al crollo del regime siriano per poter indebolire la resistenza libanese e il Partito di Dio (Hezbollah che la garantisce). Cioè, in questo momento il Libano è accerchiato.
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