Secondo fonti di diverso tipo sarebbero ormai 100 mila, o addirittura 130 mila, i profughi curdi che hanno attraversato il confine tra Siria e Turchia per sfuggire all’avanzata delle bande jihadiste dello Stato Islamico che nei giorni scorsi ha avviato una pesante offensiva militare nel Rojava, la regione curda in territorio siriano. Secondo quanto si è appreso nei giorni scorsi, in poche ore i fondamentalisti sunniti con una manovra a tenaglia avrebbero attaccato decine di villaggi e cittadine, conquistandone molte nonostante la strenua difesa dei combattenti curdi che stanno tentando in ogni modo di proteggere la popolazione e portarla in salvo nelle aree ancora sotto il controllo del governo autonomo del Rojava oppure oltreconfine, nella confinante Turchia.
Scontrandosi però con l’atteggiamento del governo di Ankara che, dopo aver fatto passare una parte dei fuggitivi, ieri ha chiuso la frontiera – tranne il valico di Mursitpinar, nella provincia di Sanliurfa – bloccando migliaia di persone e intrappolandole a ridosso dei reticolati. Una decisione che ovviamente ha scatenato la protesta dei profughi e delle organizzazioni popolari del Kurdistan turco; ne sono nati violenti scontri sia ieri sia oggi, con la polizia di Ankara che ha utilizzato proiettili di gomma, cannoni ad acqua e lacrimogeni per disperdere i manifestanti che hanno lanciato pietre.
Nelle ultime ore il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ha rivolto un nuovo appello alla popolazione affinché aumentino gli sforzi per bloccare l’avanzata jihadista nel Rojava siriano. L’organizzazione armata curda ha invitato i suoi simpatizzanti a unirsi alle milizie popolari che combattono armi alla mano le bande dello Stato Islamico. “Il giorno per la gloria e l’onore è arrivato. Non ci sono più limiti alla resistenza” ha scritto il Pkk in un appello alla mobilitazione che sarebbe stato accolto già da alcune centinaia di giovani, che si aggiungeranno presto ad altre centinaia di combattenti che nel fine settimana si sono precipitati nel Rojava per sostenere i curdi di Siria contro l’offensiva dei jihadisti nella regione di Kobane.
I curdi accusano da tempo il governo turco di sostenere attivamente l’Isis ed altri gruppi jihadisti in chiave anticurda e nel tentativo di mettere le mani sulla Siria. E il rifiuto da parte di Ankara di collaborare alla cosiddetta “coalizione dei volenterosi” messa in piedi da Washington e le petromonarchie del golfo contro le milizie di Al Baghdadi non fa che rafforzare i sospetti che il governo liberal-islamista non abbia per ora ancora intenzione di rinunciare del tutto al sostegno finora accordato allo Stato Islamico. Il governo dell’Akp si è persino rifiutato di concedere agli Usa la base aerea di Incirlik, indispettendo non poco gli alleati della Nato, ed ha ammesso di aver trattato direttamente con lo Stato Islamico per arrivare alla liberazione di 46 ostaggi turchi. In cambio della quale, accusano alcuni media di Ankara, il governo islamista avrebbe liberato alcuni jihadisti arrestati negli ultimi mesi e concesso un passaggio di miliziani islamisti feriti attraverso la sua frontiera.
Ora l’emergenza creata negli ultimi giorni dall’esodo di massa dei curdi siriani verso nord potrebbe permettere al governo turco di rispolverare un vecchio cavallo di battaglia: la creazione di una ‘fascia di sicurezza’ di alcune decine di chilometri in territorio siriano controllata dalle truppe di Ankara, che così avrebbero il via libera per invadere il paese confinante con una giustificazione di tipo “umanitario e di sicurezza”. Ma un eventuale intervento dell’esercito turco in Siria potrebbe avere effetti dirompenti, scatenando la reazione armata non solo delle forze di sicurezza di Damasco ma soprattutto la resistenza da parte delle milizie curde siriane e turche (Ypg e Pkk), presenti oltretutto anche nel territorio dell’Iraq del Nord.
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