La Francia è in prima fila, da tempo, nella destabilizzazione politica e militare della Siria. Tutti ricorderanno come, solo pochi anni fa, i caccia della “ex” potenza coloniale fossero pronti a partire per il Medio Oriente per sganciare tonnellate di bombe sulle città siriane e sulle forze armate di Damasco per dare la spallata al governo già alle prese con l’insorgenza jihadista. Poi da Washington, spaventata dall’entrata in scena di Russia, Iran e Cina a difesa di Assad, arrivò lo stop alle operazioni militari dirette, con sommo dispiacere di Parigi.
E allora la Francia, così come il resto delle potenze europee e gli stessi Stati Uniti, accentuarono il loro sostegno economico, diplomatico e militare ai vari gruppi ribelli, compresi quelli fondamentalisti e jihadisti. Salvo poi diventare improvvisamente, a partire dall’estate del 2014, i capofila della cosiddetta ‘coalizione internazionale contro lo Stato Islamico’. Tuttora forze speciali francesi, insieme a quelle di Londra e Washington e ad alcuni consiglieri militari di Berlino, sono impegnate in prima linea nel nord della Siria in sostegno delle milizie curde, arabe e assire coalizzate nelle cosiddette ‘Forze democratiche siriane’. Uno strumento, per gli apprendisti stregoni delle cancellerie occidentali, per strappare vaste porzioni di territorio finora nelle mani dei jihadisti prima che a farlo siano le forze lealiste e quelle inviate nel paese da Hezbollah, da Teheran e da Mosca.
Parigi campione della democrazia e della lotta al terrorismo jihadista?
Non esattamente. Nei giorni scorsi infatti è stata la stessa stampa francese a rivelare, attingendo ai documenti pubblicati dal quotidiano siriano vicino all’opposizione Zaman al Wasl, che un colosso economico di Parigi, la società produttrice di cemento Lafarge, ha stipulato vari accordi con i gruppi “ribelli” attivi in Siria, Stato Islamico compreso, per proteggere i suoi interessi economici e commerciali nel paese sconvolto da una guerra civile presto trasformata da varie potenze in una guerra di dimensioni regionali.
Secondo il quotidiano Le Monde, al centro della trattativa con i jihadisti è stato il cementificio che Lafarge ha acquistato nel 2007 a circa 150 chilometri a nord-est di Aleppo, nella località di Jalabiya (tra Raqqa e Kobane), entrato poi in funzione nel 2011. Un investimento da ben 600 milioni di euro e che ha permesso all’impresa di scalare le classifiche europee nel settore portando la sua produzione a 2.6 milioni di tonnellate di cemento l’anno.
“Fino al 2013, la produzione andava avanti nonostante la crescente instabilità nella zona a causa della guerra civile iniziata nel 2011”, scrive il quotidiano francese. Quando nel 2013 l’Isis ha cominciato a prendere il controllo delle città, compresa la zona intorno al cementificio, i suoi dirigenti hanno stretto un patto con gli estremisti dello Stato Islamico pur di poter continuare a produrre e guadagnare. Le Monde afferma di aver visionato alcune delle lettere inviate dai responsabili di Lafarge in Siria che “rivelano accordi di Lafarge raggiunti con il gruppo jihadista per garantire la produzione fino al 19 settembre 2014”, data in cui lo stabilimento di Lafarge in Siria ha sospeso tutte le sue attività.
In un caso l’azienda francese, per chiedere l’accesso nello stabilimento dei suoi operai e di forniture, ha inviato un uomo di nome Ahmad Jaloudi in una missione “per ottenere il permesso dell’Isis per lasciare che i suoi impiegati passassero i punti di controllo” dell’organizzazione terroristica.
In un secondo caso, un “lasciapassare con un timbro IS e approvato del Responsabile della Finanza (del gruppo) nella regione di Aleppo” con data 11 settembre 2014 conferma che la direzione della multinazionale francese aveva raggiunto un accordo con l’Isis per permettere la libera circolazione delle sue merci in tutto il territorio controllato da Daesh. Stando a quanto scrive Le Monde, al fine di continuare a produrre cemento, Lafarge avrebbe addirittura acquistato licenze e pagato tasse a intermediari dell’Isis oltre ad acquistare petrolio dai trafficanti legati al Califfato.
Tutto sembra procedere per il meglio fino al 19 settembre 2014, quando l’Isis sequestra il sito costringendo i francesi a cessare le loro attività. Per ben due volte, un intermediario propone loro di rilanciare il cementificio sotto protezione dell’Isis in cambio di una condivisione degli introiti, ma stavolta è Daesh a rifiutare. Dopo qualche mese, nel febbraio 2015, il sito viene occupato dalle milizie curde con il sostegno delle forze della cosiddetta “coalizione internazionale”, ed oggi è proprio a Jalabiya che sono presenti le forze speciali francesi, britanniche e statunitensi.
Dopo le rivelazioni di Le Monde, l’azienda – che nel 2015 si è fusa con il cementificio svizzero Holcim – non ha voluto rispondere direttamente alle accuse ma si è limitata ad affermare che “la priorità assoluta di Lafarge è sempre stata quella di garantire la sicurezza e l’incolumità del suo personale”. Pur di proteggere i suoi interessi e i suoi profitti l’importante gruppo industriale francese non ha esitato a venire a patti con il diavolo, evidentemente concedendo qualcosa ai tagliagole del Califfato in cambio della sicurezza garantita ai suoi operatori e ai suoi commerci. E’ assai difficile pensare che i servizi di intelligence e quindi il governo di Parigi non fossero al corrente del ‘patto col diavolo’ di un così importante gruppo industriale da anni attivo in Medio Oriente, e del fatto che un’azienda francese finanziava direttamente il gruppo terroristico per garantirsi la redditività dei propri investimenti.
Marco Santopadre
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa